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Articoli educativi

Animali domestici e bambini

Eccoci a parlare di uno degli articoli che era in progetto da un po’ di tempo.
Ma anche uno di quelli più complessi e forse anche non reperibili così facilmente.

O meglio: dal punto di vista pratico di gestione delle varie bestiole (cane, gatto, rettili, criceti, chiocciole e insetti stecco) in internet sono reperibili materiali informativi adeguati alla loro cura e gestione.
Un po’ meno, per quella che è la mia esperienza, la gestione di base insieme alle modalità di relazione e co-abitazione dei vari animali con i bambini.
E ancora meno in ottica educativa e relazionale.

Quindi sì.
Partiamo con il dire che avere un animale domestico è potenzialmente un’ottima cosa per i bambini.

E di solito i PRO più gettonati sono lo sviluppare empatia e capacità di relazionarsi in maniera più fisica (e allo stesso tempo controllata), la possibilità di avere relazioni più “dirette” (e non filtrate dal verbale e dalle norme sociali), la responsabilizzazione dei bambini e, in alcuni casi, il poter assistere e vedere dal vivo il ciclo di vita di un animale specifico.
Chiaramente questi vantaggi sono più o meno pertinenti a seconda dell’animale in questione.
Per cui il cane è l’emblema per eccellenza delle “relazioni più dirette”; mentre bruchi e insetti stecco (ma anche galline e girini) se lo contendono per il primato del ciclo di vita.

 

Quando ho iniziato a pensare a questo argomento avevo come focus principale le tartarughe d’acqua. Perché, insieme ai conigli e ai pesci rossi, sono gli animali che hanno un’enorme differenza tra ciò di cui hanno bisogno e la percezione di quanto sia semplice gestirli.
E quindi spesso sono la scelta più gettonata per accontentare le richieste di bambini più o meno grandi di avere un animale domestico. Salvo poi rivelarsi una disastro in gestione pratica, economica ed emotiva.

 

E quindi partiamo con il dire che sì, potenzialmente tutti i punti di cui sopra sono veri e positivissimi, ma vanno assolutamente contestualizzati alle esigenze dell’animale specifico e alle nostre possibilità come persone e come famiglia!

 

Perché il primo step dovrebbe proprio essere, per noi adulti, quello di informarci.
Ricercare, chiedere, documentarci su ciò di cui ha bisogno quell’animale. Se esistono variazioni di razza e specie e quali sono le cose fondamentali da sapere su:

 

Sembra scontato, ma quanto diventano grossi? Cambia a seconda della specie? E quanto a lungo vivono? Possono essere pericolosi per i bambini o per gli altri animali che abbiamo in casa?
Sono tutte domande che spesso non ricordiamo di farci prima, ma sono fondamentali per una scelta il più consapevole possibile.
No, i pesci rossi non rimangono piccoli piccoli, arrivano anche a 20/25 cm di lunghezza e vivono svariati anni se tenuti nelle condizioni giuste.

Cosa mangiano? In che quantità? Anche solo, banalmente, per capire quali sono i costi fissi. Perché no, non sempre quello che pensiamo o si dice in giro è accurato.
Ogni animale ha bisogni diversi e specifici a seconda di numerosissimi fattori (specie, età, patologie, etc.) e informarsi prima è fondamentale per capire l’impegno necessario, anche a livello economico.
No, quello che ci viene detto dai negozianti non necessariamente è corretto e adeguato per l’animale che stiamo adottando.

di quanto spazio hanno bisogno? Servono accorgimenti specifici come gabbie, tane, nascondigli?
Questo perché, di nuovo, le necessità degli animali non coincidono con quello che comunemente si pensa.
No, le tartarughe di acqua non possono vivere in una vaschetta di plastica. E no, i conigli non possono stare tutto il giorno in gabbia.

sono animali che vivono da soli o con altri esemplari? Soffrono la solitudine? Hanno bisogno di interazione umana e in che misura?
No, i cani non possono stare in casa tutto il giorno senza vedere nessuno.

hanno bisogno di cure specifiche? Servono veterinari che siano specializzati per poterli visitare e curare? Se sì, ce ne sono di vicini a noi?
Questa dovrebbero essere le domande essenziali. Perché è vero che ci auguriamo sempre che non serva, ma se gli animali stanno male, il minimo è farli visitare e in alcuni casi potrebbe essere necessario che il veterinario abbia una specializzazione per essere in grado di capire e aiutare l’animale.
No, i pappagalli non possono essere visitati da un veterinario qualunque. E no, le cure veterinarie per animali spesso costano molto di più di quelle per umani, soprattutto quando si tratta di esami specifici come TAC e risonanze, in quanto per loro non esiste il SSN.

Questo tipo di ricerca serve in primis a noi adulti per renderci conto dell’impegno necessario; ma in realtà sarebbe auspicabile farla insieme, soprattutto con i bambini e i ragazzi più grandi, come processo per coinvolgerli fin dall’inizio e conseguentemente per cominciare, sempre a seconda dell’età, a parlare con loro delle responsabilità e delle esigenze dell’animale.

 

Questo sempre nell’ottica che saremo noi i responsabili.
Più i bambini sono piccoli meno capacità di astrazione e pensiero di programmazione nel futuro hanno.
E questo cosa significa?
Significa che far promettere a un ragazzino di 12 anni che porterà fuori lui il cane 3 volte al giorno non è una modalità funzionale. Perché lui prometterà sicuramente e assolutissimamente tutto ciò che serve perché adottiate l’animale e voi rimarrete spiazzati nel momento in cui, passato l’entusiasmo iniziale, cominceranno ad esserci problemi nella divisione dei compiti.
Aggravato dal fatto che non stiamo parlando di un oggetto, ma di un essere vivente, con una sua dignità e che va assolutamente rispettato e curato al meglio delle nostre possibilità.

In questo senso, il coinvolgimento nella parte della ricerca può essere l’occasione per spiegare ai bambini che “noi non ce la sentiamo in questo momento di tenere una tartaruga di acqua e pulire l’acquario ogni 2 settimane”. Oppure che “tra scuola e lavoro siamo a casa molto poco e, purtroppo, i conigli hanno bisogno di spazio e libertà di movimento e gioco”.

“In questo momento non sarebbe la cosa migliore per noi o per loro se li adottassimo.”

L’empatia parte anche da qui.
Anche dal mostrare consapevolezza, attenzione e rispetto verso un animale che ancora non abbiamo adottato.

 

Perché se ci fermiamo a riflettere, insegnare l’empatia in questo contesto non è solo consentire ai bambini di interagire con gli animali e capire che anche loro hanno bisogno di tempi e spazi specifici.
Che non necessariamente vogliono giocare o essere coccolati.
Insegnare l’empatia è anche mostrare noi per primi rispetto verso gli animali. È fare il possibile per dargli una vita in un ambiente e con le cure e attenzioni di cui hanno bisogno. È portarli dal veterinario e pagare le visite e le terapie se stanno male.

Quindi avere consapevolezza dei bisogni dei singoli animali diventa ancora più fondamentale nell’ottica che non possiamo rispondergli “eh vabbè, è solo un pesce. Ne prenderemo un altro.”

 

Perché, è vero che vorremmo che succedesse il più tardi possibile, ma dobbiamo anche mettere in conto che gli animali muoiono. E saremo noi adulti a dover accogliere, accettare, normalizzare e accompagnare i bambini nel processo di lutto di quello che spesso diventa un compagno di vita insostituibile.
E anche questo non è facile.

 

In questo senso, se scopriamo “troppo tardi” che l’animale che abbiamo adottato ha esigenze che non riusciamo a soddisfare, la scelta di esempio empatico potrebbe anche essere più difficile di quello che pensiamo. Potremmo dover cambiare le nostre abitudini o rinunciare a qualcosa per andare incontro alle esigenze dell’animale.
Oppure potremmo trovarci nella posizione orribile di dover decidere se effettivamente sia meglio per loro essere adottati da qualcuno con possibilità maggiori delle nostre (in senso di tempo, spazi o soldi).
Ed essere il più trasparenti possibili su questa scelta, accogliendo e normalizzando tutte le emozioni che possono attraversare noi e i bambini (tristezza, rabbia, sconforto, etc.) è il primo passo per mostrare loro concretamente come gestire situazioni difficili, come sostare nel dolore e come sia possibile riuscire ad essere talmente empatici che si mettono al primo posto le esigenze degli altri.

Per questo è fondamentale informarsi prima.
Perché le alternative esistono. Ci sono animali più o meno impegnativi, anche se sono “meno canonici” rispetto alla definizione standard di “animale domestico”.
Perché ogni famiglia ha le proprie possibilità e ogni animale ha le proprie esigenze e riuscire ad incastrare le due cose significa garantire loro una vita felice e dignitosa e a noi un percorso più sereno.

Selezionare i kit di bruchi per vedere il ciclo di vita delle farfalle, far capire ai bambini che gli animali hanno bisogno di spazio e che non necessariamente vogliono interagire o essere coccolati è, per esempio, ottimo.

Potrebbe essere un’ottima idea e un buon compromesso ritagliarsi un po’ di tempo tutte le settimane per andare in gita da vicini, amici o parenti che hanno animali diversi per consentire ai bambini di interagire in quei contesti o in quegli spazi.
Un buon modo per far passare tutti quei bellissimi messaggi che nascono dalla relazione umano-animale, senza che ci sia l’impegno e la responsabilità dell’avere un animale.

Riflessioni delle stories

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GIUDIZI
VESTITI
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Albi illustrati e come sceglierli! Illustrazioni e testi

ILLUSTRAZIONI

Cominciamo con il dire che le illustrazioni sono uno degli aspetti più variegati e variabili di un libro.

Per molta parte vanno anche a gusto personale e non seguono esattamente dei criteri standard (le modalità, colori, posizionamenti per disegnare un leone sono pressoché infiniti).

Quindi, in questa sede, cercheremo di trovare delle caratteristiche obiettive e che coprano le illustrazioni in generale, senza addentrarci nello specifico nell’analisi di uno stile o di un altro.

– STILIZZAZIONE.
I bambini apprendono la stilizzazione (cioè la rappresentazione di un oggetto o animale in maniera più astratta e con solo determinate caratteristiche riconoscibili), crescendo.
L’idea che “più un disegno è semplice e più è facilmente riconoscibile” per un bambino piccolo è del tutto errata.

Orso buco (libro che personalmente mi piace molto per la musicalità e il ritmo della storia) è disegnato in maniera completamente astratta. Io adulto capisco che la sfera grande e marrone è orso, per me è perfino banale, ma per i bambini l’etichetta “orso” è stata attaccata a quella specifica rappresentazione grafica solo perché io adulto gliel’ho detto.

Sono quindi preferibili, più i bambini sono piccoli, illustrazioni con disegni verosimili o comunque poco stilizzati. Per intenderci i libri di Helen Oxenbury hanno illustrazioni e non foto, ma i disegni sono comunque molto riconducibili e simili alla realtà.

– DETTAGLI.
Come regola di base, più un’illustrazione ha dettagli, soggetti numerosi, scene caotiche, sfondi con particolari, più è complessa da leggere. Perché prevede la capacità del lettore di ricevere tutti questi stimoli e di filtrare le informazioni importanti.

Quindi, più il bambino è piccolo, più sono necessarie illustrazioni con i personaggi principali, chiaramente distinguibili e con elementi di sfondo che non siano troppo “distraenti”.

Un altro aspetto interessante è che a volte l’illustrazione dà un valore aggiunto al testo e quindi inserisce degli elementi nella storia o rappresenta (anche in modo comico) l’esatto opposto di quello che dicono le parole. E’, in realtà, una cosa molto bella, che aiuta anche a registrare le informazioni su due canali paralleli e non sempre corrispondenti, ma è anche più difficile da assimilare e gestire per i bambini.
In questi casi fermarsi un attimo ed esplicitare quello che viene detto e quello che invece è rappresentato, può essere molto utile soprattutto le prime volte che si affronta quel determinato libro.

– COLORI.
I colori, un po’ come i dettagli, sono un elemento che influenza la facilità di lettura di un’immagine.
Tendenzialmente: i colori sgargianti attirano molto l’attenzione, mentre colori tenui sono più facili da “ignorare”, quindi immagini con alcuni elementi evidenziati dall’uso di colori forti o linee più marcate, con elementi di fondo in tinte più pastello, sono l’ideale per consentire al lettore di avere un’idea generale della scena, riuscendo comunque a rimanere focalizzato sui personaggi principali.

-POSIZIONAMENTO SULLE PAGINE.
Un altro elemento fondamentale da considerare quando si affronta un libro è il posizionamento delle illustrazioni sulle pagine.

Sostanzialmente le scene rappresentate una accanto all’altra, danno un’idea di sequenzialità che però non è naturale: abbiamo imparato negli anni a leggerle in quel modo.
I bambini devono, quindi, essere accompagnati ad apprendere questa competenza nel tempo.

L’ideale sarebbe utilizzare, nei primi approcci ai libri, testi che presentano una singola immagine per volta.
Quando poi, invece, cominciamo ad approcciarci ad albi che hanno più illustrazioni visibili contemporaneamente, possiamo utilizzare, banalmente un foglio di carta, in modo da forzare la visibilità di una singola scena per volta.

LINGUAGGIO

Affrontare la tematica del linguaggio nei libri per bambini è complesso.
Va a toccare il tema della lingua madre, dell’apprendimento dei vocaboli e delle capacità e competenze delle singole fasce di età (che a volte diventano dolorose per gli adulti, perché c’è la tendenza a paragonare le competenze dei bambini a quelli che vengono percepiti come “standard” da raggiungere).

Mi limiterò a due riflessioni molto semplici: la prima sul fatto che più il bambino è piccolo, più le frasi dovranno essere corte e dalla struttura semplice. Anche la concatenazione tra un periodo e l’altro potrà aumentare di complessità man mano che il bambino sviluppa più competenze (“Marco ha mangiato la mela. L’ha mangiata perché aveva fame. In casa non c’era altro cibo.” è diverso da “Marco ha mangiato la mela perché aveva fame e non c’era altro cibo in casa”).

La seconda è che i libri possono diventare anche strumenti di apprendimento di nuove parole! Questa, secondo me, è una cosa meravigliosa, ma che prevede due sforzi da parte dell’adulto che propone e legge il libro. Il primo è quello di soffermarsi e verificare che il bambino effettivamente conosca i termini usati (inizialmente possiamo essere noi a chiedere, per poi lasciare che il bambino si abitui e sia lui stesso a interromperci per chiedere spiegazioni sul significato di ciò che non ha capito).
Il secondo sforzo è invece quello di non cambiare i testi che leggiamo (a meno che non ci siano valide motivazioni per farlo!): mi viene in mente “Lindo porcello” che a un certo punto del libro fa il bagno nel “mastello”. Ovviamente “mastello” fa rima con “porcello”, ma è anche un termine molto poco usato e che il bambino potrebbe apprendere per ampliare il vocabolario!

Al contrario in i colori delle emozioni c’è un passaggio in cui la bambina dice al mostro “Hai combinato un altro guaio? Non imparerai mai!”.
Io, durante la lettura, molto semplicemente non leggo il “Non imparerai mai”.

Silent book o i “senza parole”, sono quei libri che non hanno testo, ma solo immagini. A volte hanno anche storie articolate e piuttosto lunghe (mi viene in mente l’ombrello rosso che racconta le peripezie di questo cagnolino che finisce, un po’ per caso, ad esplorare varie zone del pianeta).
Ad un primo approccio potrebbe sembrare (e io ne ero fortemente convinta) che i silent book siano la scelta perfetta se non si voleva fare lettura ad alta voce: non c’è il testo!

Nulla di più sbagliato!
Il testo dobbiamo integrarlo noi! Dobbiamo leggere, studiare e decidere, prima di proporre l’albo al bambino, come vogliamo narrare la storia, su cosa vogliamo soffermarci, quante frasi vogliamo dire per pagina, che vocaboli utilizzare e il tipo di narrazione che secondo noi funziona meglio!

Il lato positivo è che, decidendo noi in autonomia, possiamo soffermarci e dare più importanza a ciò che sappiamo interessa maggiormente il bambino che abbiamo davanti, calibrando lessico, lunghezza e ritmo.
Abbiamo quindi anche la libertà di sperimentare e variare la lunghezza delle frasi e della lettura, man mano che il bambino acquisisce competenze e concentrazione.
Rimangono comunque libri molto complessi da proporre, perché presuppongono uno studio pregresso e approfondito da parte dell’adulto.

Quindi?
Perché ammettiamolo, arrivare fin qui ha smontato (almeno) un paio di convinzioni radicatissime.
Cerchiamo, ancora una volta, di ricordarci che la lettura è un momento di condivisione con il bambino e che, se a noi piace un libro, leggendolo comunque trasmettiamo la nostra passione per la lettura!
Alleniamoci, piano piano e senza troppa durezza nell’auto-critica a tenere a mente i diversi aspetti quando selezioniamo o leggiamo un nuovo libro!

Mettiamoci nei panni dei bambini!

Dopo aver affrontato le premesse e il topic di formato e lunghezza, la tematica e le illustrazioni e testi, direi che possiamo avere un’idea generale abbastanza completa di quali sono gli aspetti fondamentali da considerare quando si prende in mano un albo illustrato per bambini.

In cas serva c’è il video comprensivo completo qui o una serie di esempi di analisi (registrazione delle dirette fatte nei mesi su instagram) qui.

Albi illustrati e come sceglierli! Tematica

TEMATICA

La caratteristica più complessa e probabilmente anche meno superficiale tra tutte, anche per gli addetti ai lavori.

Si basa sul fatto che il cervello dei bambini (e dei ragazzi e degli adulti) si stia sviluppando e, quindi, a seconda dello stadio di sviluppo sia in grado di ascoltare, recepire, registrare e rielaborare concetti differenti e di complessità differente.
Che, di nuovo, non significa, purtroppo, che se il bambino ci ascolta e gli piace che leggiamo quel determinato libro, ne abbia capito il contenuto e il messaggio di base.

Cerchiamo di metterla così: un libro può essere più o meno lungo, ma se parla di fisica quantistica difficilmente sarà assimilabile da un bambino di 2 anni e mezzo.
Condensare o semplificare un concetto lo rende magari capibile su un primo strato e livello di analisi, ma non rende assimilabile e comprensibile la dinamica che c’è alla base.
Per fare un esempio meno controverso (visto che, purtroppo, esistono dei libri che sostengono di poter spiegare fisica quantistica e argomenti affini ai bambini della prima infanzia): è più o meno accettato da tutti che i bambini possano approcciarsi alla protostoria (cioè trame molto semplici con inizio, svolgimento e fine) dai 18 mesi. Mentre prima non sono in grado di seguire e registrare i vari passaggi logici o cronologici.

Lo stesso principio si applica alle modalità di trattazione delle tematiche: in alcuni casi il bambino segue la storia, ma non riesce a comprendere fino in fondo (e quindi ad apprezzare) alcuni passaggi.
Prendiamo per esempio dov’è la mia mamma?, storia di una piccola scimmietta che cerca la sua mamma e della farfalla Rita che continua a indicare svariati animali, apparentemente a caso. Tutta la vicenda si basa sul fatto che i cuccioli della farfalla (i bruchi) non sono uguali a lei.
Per comprendere la storia, quindi, il bambino ha bisogno di questa conoscenza (che è appresa) e di avere una comprensione dell’altro, inteso come essere a se stante con pensieri, opinioni ed emozioni diverse dalle proprie.

Questo snodo è particolarmente difficile e complesso da accettare, assimilare e verificare poi concretamente, proprio perché il bambino apprezza un determinato libro per svariati motivi. Tra cui l’aspetto emotivo di relazione con chi legge o la presenza di determinati personaggi (se gli piacciono particolarmente le scimmie, magari continuerà a portarci dov’è la mia mamma? anche se non afferra completamente la storia.

Cosa possiamo fare per riuscire a non cascare nel tranello del “rimane fino alla fine = gli piace e ha capito”?

Leggiamo in modo più interattivo. Non nel senso di lettura animata, ma nel senso di creare un’esperienza più interattiva e in cui il bambino sia maggiormente in controllo di quello che sta venendo letto (aspetti su cui soffermarsi, tempistiche, etc)

Scriverò un articolo specifico sulle modalità di lettura più efficaci in questo senso, ma come inizio si può cominciare anche solo semplicemente a fare domande al bambino prima, durante e dopo la lettura. (Che non significa interrogarlo per verificare comprensione e conoscenze!!! Perché se entriamo in quell’ottica, semplicemente lui cercherà di rispondere quello che pensa che noi vogliamo sentire.)
Domande semplici, calibrate sull’età specifica e che non siano a risposta secca “si o no”.
Inizialmente, per abituarsi entrambi, si può cominciare con domande ad alternativa (“secondo te è così o cosà?”) per poi utilizzare domande aperte (“secondo te perché ha fatto così?”)

Non è esattamente completamente collegato come argomento, ma cerchiamo di ricordarci che il giudizio e le schematizzazioni di noi adulti non aiutano i bambini nello sviluppo del pensiero autonomo!

Quindi: facciamo particolare attenzione ai non detti (la farfalla ha come ciclo: bruco, bozzolo, farfalla), ai passaggi di scena non esplicitati da una pagina all’altra (non sempre, per i bambini, è chiaro che c’è stato un salto temporale o spaziale se non viene spiegato) e all’ironia e al sarcasmo!
Dove possibile spieghiamo TUTTO quello che avviene dentro la scena rappresentato e fuori dalla scena tra una frase e l’altra o tra una pagina e l’altra!

In linea generale più il bambino è piccolo più sarà facile per lui seguire, comprendere e apprezzare libri che affrontano argomenti e momenti di vita pratica.
Quindi storie che parlano di momenti e situazioni a lui famigliari e che, potenzialmente, vive quotidianamente. Per lo stesso principio più è piccolo più sarà facilitato ad immedesimarsi in protagonisti che sono simili a lui (bambini, non animali antropomorfizzati o adulti).

Attenzione, però, a non prendere e proporre il libro come pillola risolutiva di problematiche o situazioni difficili!!!
Proporre e mettere a disposizione del bambino libri che trattano una situazione che sta avendo difficoltà ad affrontare o che causa particolare frustrazione (togliere il pannolino, smettere di usare il ciuccio, l’arrivo del fratellino, il cambio di scuola, il dormire da soli, il trasloco, il distacco, e potrei andare avanti all’infinito) rischia di accentuare la difficoltà.
Può diventare uno strumento utile ed efficace per il bambino per esprimere e gestire le emozioni in maniera controllata (ho paura del pediatra, rileggo il libro tot volte, finché non ho preso familiarità con la situazione in un contesto protetto e in cui mi sentivo in controllo). Ma questo tipo di proposta deve essere accompagnata da un adulto attento e consapevole.
Attento in primis alla reazione del bambino: potrebbe essere che la proposta della storia che tratta una tematica che causa ansia, generi ancora più ansia (ricordarmi che arriverà il fratellino anche in un momento in cui mi rilasso con la mamma o il papà, può accentuare ancora di più la mia “non voglia che arrivi il fratellino”). E consapevole che il libro è un ponte che deve essere affiancato dall’adulto. Adulto che ha il compito di cogliere le frustrazioni o difficoltà, accogliere le emozioni e accompagnare il bambino in questa fase di elaborazione, sostenendolo con empatia e verbalizzazione.

Libro “pillola” sì, ma come proposta a disposizione che sarà il bambino stesso a decidere se, come e quanto utilizzare e, necessariamente, accompagnato dall’integrazione emotiva e verbale della relazione con l’adulto.

Sempre legato alla tematica, intesa come “argomento”, troviamo i libri-gioco.
Sono quegli albi, illustrati o no, che sono più interattivi e quindi prevedono un coinvolgimento maggiore da parte del lettore. I più usati solitamente sono quelli di Hervé Tullet (come un libroun gioco, etc) o anche arriva il lupo e non svegliare la tigre.
Questi testi servono o per avere un momento di svago e divertimento alternativo durante il momento lettura, o proprio per avvicinare i bambini più restii e con meno voglia e span di attenzione ai libri.

Dopo aver affrontato le premesse e il topic di formato e lunghezza e la tematica, possiamo passare alle illustrazioni e testi.

Oppure vedere il video comprensivo completo qui o una serie di esempi di analisi (registrazione delle dirette fatte nei mesi su instagram) qui.

Albi illustrati e come sceglierli! Formato e lunghezza

FORMATO

La prima cosa che salta all’occhio quando si prende in mano un qualsiasi libro è il formato.
Con formato si intendono quelle caratteristiche di stampa che determinano la grandezza del libro, il tipo di copertina, lo spessore delle pagine, la dimensione dei testi, etc.

Sembra la parte più facile.
Parola chiave “sembra”.

Cerchiamo, per fare ordine, di dividere i formati in 3 macrocategorie:
– libri in formato “portatile”.
– libri di grandi dimensioni.
– cartonati e non (solo) di carta

Partiamo dalle dimensioni: più un libro è grande più i dettagli sono visibili.
Questo fattore è da considerarsi se le illustrazioni del libro sono ricche di parti piccole “da trovare” (spesso libri di questo tipo sono stampati solo con grandi formati) o se la lettura viene fatta a più bambini contemporaneamente (e che quindi devono stare “a distanza” per poter vedere tutti).
Tendenzialmente i libri piccoli e con illustrazioni semplici sono da preferire con i bambini più piccoli e per favorire un approccio autonomo e diretto al libro stesso, perché risultano più maneggevoli e fruibili anche per loro.

Passiamo ora ai cartonati.
Esistono libri che hanno le pagine molto molto molto spesse in cartoncino e sono detti “cartonati”. Sono quei libri pensati per essere toccati e presi in mano anche da bambini piccoli che non hanno la delicatezza e manualità fine per gestire le pagine “normali” senza romperle e strapparle inavvertitamente.
E’ infatti consigliabile far prendere dimestichezza con i libri ai bambini fin da quando sono molto piccoli, anche se questo comporta un maggior rischio di rotture e danni ai libri stessi.
ATTENZIONE però! Non tutti i libri in cartonato sono pensati per i più piccoli!

Inizialmente, quando sceglievo i libri per i bambini, mi affidavo molto al formato scelto da autori e editori, ma con il tempo mi sono resa conto che spesso le scelte fatte a monte non combaciavano con quello che era l’età del bambino che fruiva del libro.
Esempio concreto: da grande, libro cartonato di poche pagine, molto bello che affronta, con ironia, i pregiudizi che intercorrono tra cappuccetto rosso, tre porcellini e il lupo.
Ecco.
“Con ironia” e quindi con una tematica coglibile dai 3/4 anni in su circa.

La differenziazione copertina flessibile o copertina cartonata, invece, è nella stragrande maggioranza dei casi un fattore che influenza “solo” la durabilità del libro stesso.

Libri non (solo) di carta!
Qui ci sarebbe da aprire una mega parentesi e scrivere un articolo esclusivo solo su questo tipo di proposta.
Partiamo dai libri con inserti sensoriali (sia di stoffe, materiali diversi, sia con stimoli sonori): solitamente sono pensati per un primissimo approccio al libro e, proprio per questo, tendono a stimolare anche altri sensi oltre alla vista.
Questo proprio per facilitare il bambino ad avere e mantenere interesse verso questa nuova tipologia di oggetti.

I libri tattili, invece, (comunemente detti “quiet book”), sono quei libri solitamente interamente morbidi, che non necessariamente propongono una storia, ma magari si concentrano su attività di motricità fine e mini-giochi, oltre alla stimolazione sensoriale dei vari materiali.
Questi, più che libri, sono veri e propri giocattoli, è quindi fondamentale verificare che abbiano la marcatura CE (obbligatori per legge anche sui prodotti artigianali o regalati) che garantisce gli standard minimi di sicurezza per il gioco dei bambini.

Il formato è quindi utile come indicatore e può impattare la scelta finale di un libro, ma non è univoco e lascia comunque margine di dubbio sul fatto che un albo sia effettivamente adatto a una specifica fascia di età.

LUNGHEZZA

Un’altra caratteristica che teoricamente dovrebbe aiutare molto nella scelta di un libro illustrato è la lunghezza della storia stessa.
Tendenzialmente, essendo legata allo span di attenzione dei bambini, che a sua volta è effettivamente legato allo sviluppo e quindi all’età, risulta un indicatore piuttosto accurato.

Indicativamente i cartonati (per i primi approcci ai libri all’inizio della loro vita) hanno circa 3/5 fogli (quindi 6/10 facciate), mentre i libri per la fascia 0-6 si sviluppano su circa 30/36 facciate.

MA!

Di nuovo, sarebbe troppo facile poter guardare il numero dei fogli e avere la certezza matematica dell’età specifica dell’utilizzatore finale.
La lunghezza, per quanto “semplice” come caratteristica, va necessariamente abbinata alle altre e, in particolare alla “tematica”!

Dopo aver affrontato le premesse e il topic formato e lunghezza, possiamo passare a tematica, illustrazioni e testi.

Oppure vedere il video comprensivo completo qui o una serie di esempi di analisi (registrazione delle dirette fatte nei mesi su instagram) qui.

Bambini e sessualità – varie ed eventuali

Una volta affrontate le premesse su tabù e definizione del termine sessualità approfondito il perchè sia importante e da che età parlarne, capito da quali argomenti è bene iniziare e appronfondito abusi, sesso e masturbazione, possiamo passare ad alcune domande e situazioni molto specifiche e più comuni di quanto si possa pensare.

  • Se si viene interrotti durante

Situazione chiaramente non ideale e decisamente difficile da gestire soprattutto se non ci si è mai fermati a pensare al cosa faremmo se succedesse.

Questo soprattutto per evitare di reagire in maniera eccessiva sul momento.

 

In più cerchiamo anche di non cedere alla tentazione del “evitiamo di parlarne e facciamo finta di niente”. Questo perché non possiamo sapere cosa, quanto hanno visto i bambini e come l’hanno percepito. Potrebbero essere confusi, spaventati o imbarazzati.

È quindi importante, sul momento, interrompersi e cercare di mantenere la calma. La prima domanda potrebbe quindi essere rivolta a capire che cosa effettivamente han visto (“non ci aspettavamo entrassi in camera. Che cosa hai visto?”).

Ovviamente tenere un tono pacato e rimanere sereni è fondamentale per fare in modo che i bambini riescano ad esprimersi e a rispondere in maniera sincera alle nostre domande.

 

Queste non sono le situazioni ideali per iniziare una conversazione approfondita o una spiegazione, perché il nostro scopo dovrebbe essere quello di rassicurare i bambini e far passare due messaggi fondamentali:

– toccarsi è un altro modo di esprimere affetto (è possibile che invece i bambini interpretino quello che vedono come adulti arrabbiati o addirittura adulti che si stanno facendo del male a vicenda).

– a volte stare nudi uno accanto all’altro è piacevole, ma è un comportamento solo da adulti che si amano.

– Bonus: possiamo esplicitare poi le regole sulla privacy (che dovrebbe già essere conosciuta e non riservata a queste situazioni) che vigono in casa (“non siamo arrabbiati, ma a volte gli adulti hanno bisogno di stare da soli. Quindi quando la porta è chiusa vorrei che bussassi e aspettassi la mia risposta, prima di entrare”, per esempio).

 

Questi concetti sono fondamentali e dovrebbero essere esplicitati anche con bambini che non hanno proprietà di linguaggio o non sono ancora in grado di parlare.
Perché non sappiamo quanto effettivamente registrino razionalmente, verranno comunque rassicurati dal tono di voce che utilizziamo e noi cominceremo ad abituarci a parlare e verbalizzare emozioni e stati d’animo anche legati alla sfera sessuale.

 

  • Se non ne abbiamo mai parlato

A volte ci si trova nella situazione in cui i bambini già sono più grandi e l’argomento non è mai stato affrontato o abbiamo sviato le loro domande in precedenza e semplicemente hanno smesso di chiedere. Ovviamente nessuno nasce imparato (soprattutto per fare il genitore) e quindi reperire queste informazioni più avanti nel percorso di crescita dei bambini può generare un senso di inadeguatezza.

 

Fermiamoci un attimo e respiriamo.

Non è crollato il mondo.

Possiamo iniziare pian piano ad essere noi a ritirare fuori l’argomento, utilizzando sempre gli spunti che ci sono intorno a noi. E magari, a seconda dell’età e delle competenze dei bambini, spiegarli anche come ci siamo sentiti e perché abbiamo procrastinato o evitato di parlarne.

 

  • … e i bambini ormai sono grandi

Più i bambini sono cresciuti più la cosa diventa complessa, perché soprattutto nella fase di preadolescenza e adolescenza è possibile che anche loro si sentano ormai in imbarazzo a parlare di determinate cose con noi.

In questo caso, a seconda del carattere o del rapporto che si ha si possono utilizzare metodologie più passive e meno frontali.

 

Una modalità di confronto comunque verbale potrebbe essere quella di affrontare l’argomento in macchina. Questo perché è uno di quei contesti in cui si può tranquillamente evitare il contatto visivo. E questo facilita il confronto anche su argomenti spinosi.

Si può ulteriormente facilitare la cosa anticipando il fatto che si vuole parlare di una questione specifica e lasciando spazio ai ragazzi di decidere la tempistica (“Vorrei parlarti di una cosa che reputo importante. Pensavo di farlo in macchina, preferisci che ne parliamo all’andata o al ritorno?”)

 

È comunque possibile che dall’altro lato non ci sia volontà di comunicazione e che non arrivino domande o risposte. Manteniamoci sereni ed esplicitiamo che è normale potersi sentire in imbarazzo e che in caso di necessità siamo comunque a disposizione.

 

Possiamo poi provare con approcci più morbidi e che lasciano comunque molto margine di manovra ai ragazzi di gestire le modalità e le tempistiche con cui affrontare le informazioni.

Da un lato possiamo istituire un piccolo spazio in casa con dei post-it esplicitando che se si hanno domande o dubbi che non si riescono ad esprimere verbalmente, si possono scrivere e appiccicare lì. Un po’ come una corrispondenza o una conversazione in differita.

Oppure mettere a disposizione (o far casualmente trovare) del materiale e dei libri che riteniamo appropriati. In questo caso può essere molto d’aiuto e appropriato il libro Senza tabù di Violeta Benini (ostetrica) scritto proprio per adolescenti e in cui vengono trattati argomenti legati alla sessualità (dal corpo, al genere al piacere e al consenso).

In questi casi è sempre opportuno leggere prima il materiale (anche solo per avere una base di partenza comune nel caso in cui i ragazzi arrivino con domande specifiche legate ai testi).

 

  • Pornografia

Così come la masturbazione, la pornografia non è un male di per sé.

Dobbiamo però tenere ben presente che i ragazzi spesso si approcciano a questo tipo di contenuti senza aver avuto esperienze dirette pregresse. E questo implica che, se non c’è stato un dialogo o se non sentono di avere la possibilità di fare domande o avere un confronto con un adulto, potrebbero pensare che quella sia la modalità “normale” e corretta di approcciarsi ai rapporti intimi.

Nella maggioranza dei casi, invece, i porno sono strutturati per adeguarsi ad una specifica tipologia di fantasia sessuale (maschio dominante, con organi genitali di dimensioni notevoli e una durata media del rapporto decisamente prolungata).

Questo potrebbe non solo generare un forte senso di inadeguatezza nei ragazzi per dimensioni e durata, ma anche creare delle false aspettative sulle modalità di approccio e su cosa si aspettano che succeda nel momento in cui cominciano ad avere esperienze dirette.

Gli argomenti principali sono stati più o meno affrontati in maniera spero chiara ed esplicativa.
Non escludo in futuro di andare ad integrare se dovessero arrivare domande specifiche su uno o più topic non ancora toccati, nel frattempo c’è anche il video di recap con tutte tutte le info, qui.

Bambini e sessualità – abusi, sesso e masturbazione

Una volta affrontate le premesse su tabù e definizione del termine sessualità e approfondito il perchè sia importante e da che età parlarne, e capito da quali argomenti è bene iniziare, andiamo ad appronfondire abusi, sesso e masturbazione.

  • Abusi

È difficile inserire una sezione sugli abusi in un articolo che vorrebbe avere come focus un approccio alla sessualità più consapevole. È difficile perché significa aumentare le probabilità che chi legge si senta sconfortato o cerchi di evitare di pensarci.
Ma è difficile scriverlo anche per lo stesso motivo per cui immagino sia difficile leggerlo: è un argomento sgradevole, che tratta di dolori, situazioni e traumi che vorremmo evitare succedano alle persone a cui teniamo di più al mondo e che sono più vulnerabili in assoluto.

 

È stato difficile leggere quei capitoli specifici in uno dei libri che ho utilizzato per scrivere l’articolo (From diapers to dating. A parent’s guide to raising sexually healthy children di Debra W. Haffner). Ma una volta finita la lettura mi sono resa conto che avevo più competenze e una consapevolezza maggiore, quindi forse lo sforzo è necessario e in fondo positivo. Anche perché non pensarci o non parlarne, purtroppo, non risolve il problema.

 

Il primo shock è stato leggere che i programmi di prevenzione spesso non funzionano perché si basano sul fatto che i bambini non conoscano queste persone (“non parlare con gli sconosciuti” cit.) o sul fatto che i bambini siano in grado, se educati, di proteggersi da questi comportamenti.

Ed effettivamente, pensandoci, suona davvero improbabile che un bambino sia in grado di opporsi, non solo a livello fisico, ma anche a livello psicologico ad un adulto.

 

In questo senso ci sono alcuni concetti chiave da spiegare ai bambini e che possono essere recepiti anche durante la fascia dell’infanzia.

  • “Il tuo corpo è tuo.”
  • “Ci sono alcune situazioni in cui gli adulti possono guardare e toccare il tuo corpo” (un genitore che gli fa il bagno o un dottore che lo visita). Citare situazioni specifiche e rilevanti per il bambino stesso (va bene che la babysitter ti aiuti a pulirti dopo che sei andato in bagno).
  • “Vieni da me se qualcuno ti fa sentire a disagio o male.”
  • “Puoi dire di non toccarti, se non vuoi essere toccato”.
    E questa vale anche per i baci, pizzicotti sulle guance, abbracci e vari contatti fisici eventuali (e totalmente innocenti) con parenti e amici.
    Sottovalutiamo spesso quanto questo tipo di approcci siano invadenti dello spazio e della libertà personale degli altri nell’ottica dell’” è educazione”. Dovremmo cercare di capire se è più rilevante che i bambini si sentano rispettati o che gli adulti non si sentano delusi.
  • “Se qualcuno ti tocca e ti dice di non dirlo a nessuno, dimmelo comunque”.

L’idea di fondo è “non instillare panico o ansia” ai bambini per situazioni che potrebbero non capitare mai. Ma allo stesso tempo dare loro gli strumenti per capire che se succede qualcosa di strano e che li fa sentire a disagio non è colpa loro e possono parlarne.
Questo perché spessissimo i bambini stessi si sentono in colpa e non ne parlano con gli adulti di riferimento per paura.

In questo senso avere dei riferimenti di quali siano comportamenti normali e adeguati può essere d’aiuto per capire se qualcosa non va. Di base è del tutto normale per i bambini esplorare ed essere curiosi sull’anatomia del proprio corpo e di quello degli altri. Il classico “giochiamo al dottore” o le interazioni fatte in momenti di non supervisione non sono da eliminare di per sé, semplicemente è bene avere in mente quelli che sono situazioni e contesti innocui e quali potrebbero non esserlo.

  • Età: di solito questo tipo di interazioni si hanno con bambini coetanei.
    Più di tre anni di differenza potrebbe essere problematico.
  • Atteggiamento: in questi casi i bambini sembrano divertiti (con le classiche risatine che per noi adulti sono spesso senza senso), curiosi o felici.
    Dall’altro lato, potrebbe essere indice di un problema se i bambini mostrano aggressività, paura o rabbia.
  • Attività: spogliarsi, giocare al dottore o al “ti faccio vedere il mio se tu mi fai vedere il tuo”. Questo tipo di interazioni sono totalmente normali e per i bambini non hanno un’accezione sessuale, semplicemente rispondono alla loro naturale curiosità. In questo senso anche tra fratelli si può mantenere il rituale del bagno condiviso e spesso sono i bambini stessi che intorno ai 6 anni desiderano interrompere per avere più privacy.
    Qualunque tipo di interazione che mimichi un atto sessuale (orale o con penetrazione) sarebbe da indagare per capire da dove i bambini abbiano avuto questo tipo di input. Potrebbe essere un indicatore del fatto che hanno visto semplicemente dei video non appropriati (o siano incappati nei genitori per esempio), ma saperlo aiuta a calibrare adeguatamente la reazione e il tipo di spiegazione da dare.
  • Dopo averne parlato: nel caso di comportamenti fuori luogo o che ci mettono particolarmente a disagio (e questo può succedere anche per quelle situazioni che sono ritenute normali), possiamo parlare della cosa ed esplicitare che vorremmo che non lo facessero più. E normalmente i bambini, dopo un’indicazione diretta dell’adulto, interrompono il comportamento.
  • Sesso

    Strettamente collegato all’argomento gravidanza c’è l’argomento sesso, proprio perché la domanda “ma come ci è entrato il semino del papà nella pancia della mamma?” è dietro l’angolo.

Anche qui la regola generale è seguire l’interesse dei bambini e spiegare le cose in maniera semplice e concisa.

 

Credo che questo sia l’argomento che più mette a disagio e ci crea ansie per eccellenza, ma se riusciamo a mantenere la calma e ritagliarci tempi per prepararci (con la frase: “E’ una domanda molto interessante. Devo pensarci, mi informo e poi ti rispondo nei prossimi giorni.”) è meno impossibile di quello che pensiamo.

Evitiamo le banalità del “quando la mamma e il papà di vogliono tanto bene” o le astrazioni poetiche che tanto sembrano funzionali per toglierci di impiccio. Il fatto che i bambini non tornino sull’argomento, in questi casi, potrebbe essere proprio perché la nostra risposta non li ha soddisfatti (o non l’hanno capita) e stanno valutando se ci sono altre persone a cui chiedere.

 

La risposta concisa e precisa dovrebbe contenere alcune informazioni chiave: a volte quando la mamma e il papà si dimostrano affetto, il pene del papà entra nella vagina della mamma. Il papà e la mamma provano piacere e il pene del papà rilascia gli spermatozoi nella vagina della mamma. Solo gli adulti possono fare l’amore (o sesso).

 

In questo modo il bambino ha tutte le informazioni chiave necessarie per capire cosa succede ed eventualmente fare altre domande per approfondire uno o più aspetti (cosa fanno gli spermatozoi una volta nella vagina, perché solo gli adulti possono fare sesso, etc.).

 

  • Masturbazione

    Uno dei topic forse più invadenti e imbarazzanti per noi adulti.
    Come affrontare l’argomento, soprattutto quando diventa un comportamento abbastanza invadente. Perché l’obiettivo finale è sempre quella sottile linea di “come comunicare il messaggio adeguato alle competenze, che non vada a minare l’autostima, la creazione del sé e sia comunque corretto anche dal punto di vista sociale e dei valori della famiglia specifica”.

 

Sostanzialmente sembra un’impresa impossibile in questo caso.

Ero determinatissima a trovare una risposta, perché il tabù legato all’auto-erotismo è spesso ancorato alla visione del “masturbarsi è peccato” e volevo davvero capire fino a che punto questo si basasse su teorie e analisi con basi scientifiche.

E, se non è un comportamento ossessivo (per cui bisognerebbe contattare uno specialista), il toccarsi e la masturbazione sono comportamenti assolutamente normali.

 

Partiamo dal presupposto che durante l’infanzia non c’è l’intento sessuale che attribuiamo noi adulti a questo comportamento. E che, quindi, spesso è semplicemente un meccanismo di rilassamento e auto regolazione.

L’approccio più puntuale dal punto di vista psicologico emotivo per la crescita di adulti sani con un rapporto adeguato con il proprio corpo e la sessualità, sarebbe quello di esplicitare come “questi comportamenti siano assolutamente normali, ma in privato.”
In sostanza trovare una linea di demarcazione che consenta ai bambini di esprimersi liberamente in questo senso, ma quando sono da soli e in posti come il bagno o la propria camera (e utilizzare lo spunto per aprire anche un confronto su quali siano i posti privati e quali quelli pubblici potrebbe essere una buona idea per allentare un po’ l’imbarazzo per noi adulti e affrontare un argomento comunque importante con i bambini).

 

L’alternativa del divieto assoluto, perché crea imbarazzo in noi adulti, potrebbe far passare il messaggio che il proprio corpo è sbagliato. O che provare piacere stimolandosi a livello finisco sia sbagliato, cosa che potrebbe portare a tutta una serie di insicurezze e problemi anche da adulti.

 

Intorno ai sei anni potrebbe diventare un comportamento che ha come obiettivo il raggiungimento del piacere. È importante che i bambini sappiano che masturbarsi non causa danni né a livello fisico né a livello psicologico e che è una cosa da fare in un posto privato.

Questo a prescindere che poi si esprimano anche i valori personali che possono includere il fatto che masturbarsi sia sbagliato o sia una modalità sana di esplorare il proprio corpo e la propria sessualità.

Avendo affrontato anche abusi, sesso e masturbazione, possiamo passare anche ad alcune domande e situazioni molto specifiche e più comuni di quanto si possa pensare.

Oppure a vedere il video di recap con tutte tutte le info, qui.

Bambini e sessualità – da dove partire e argomenti

Una volta affrontate le premesse su tabù e definizione del termine sessualità e approfondito il perchè sia importante e da che età parlarne, possiamo iniziare a capire da quali argomenti è bene iniziare.

DA DOVE PARTIRE

Il consiglio di base è cercare di fornire spunti e osservazioni inerenti all’argomento (così come faremmo con qualunque altra situazione) e mostrarsi aperti ad approfondire.

Un’altra accortezza è quella di accertarsi di aver capito la domanda.
È importante fornire risposte concise e precise, senza argomentare o andare fuori tema. Spesso una semplice risposta di una frase è tutto quello che serve per saziare la loro curiosità in quel momento.

Se siamo stati colti impreparati possiamo avere due reazioni “standard” che evitano di far percepire chiusura:
 “E’ una domanda molto interessante. Devo pensarci, mi informo e poi ti rispondo nei prossimi giorni.”
Questo escamotage ci consente di prepararci (anche psicologicamente) per affrontare l’argomento, trovare prima le informazioni rilevanti e prepararci a come vogliamo discuterne.
Sembra banale forse, ma è FONDAMENTALE che dopo alcuni giorni siamo noi a ritirare fuori l’argomento e parlarne.
– “tu cosa pensi?”. Molto utile con i bambini che già sono in grado di formulare risposte e parlare in maniera più articolata. Ci consente di prendere un attimo tempo e allo stesso momento verificare la base di partenza e “l’angolazione” a cui sono interessati i bambini.
In questo caso è estremamente rilevante non prendere in giro la risposta e andare a rielaborare da ciò che ci hanno detto aggiungendo informazioni o correggendo eventuali errori ed inesattezze se necessario.

ARGOMENTI

Ci sono diversi aspetti e topic che è importante trattare e/o che potrebbero essere approfonditi in base all’età e a ciò che cattura il loro interesse. Alcuni sono più “teorici” e sono poi quelli che di solito ci vengono subito in mente (gravidanza, parto, atto sessuale), altri sono meno “direttamente collegati”, ma altrettanto importanti.

  • Nomi dei genitali
    È SEMPRE preferibile utilizzare i nomi corretti anche per i genitali. Questo da un lato per abituare noi a superare il primo gradino del tabù e dall’altro perché è importante far passare il messaggio che anche quelle sono parti del corpo come le altre (MAI ci sogneremmo di chiamare il ginocchio “coccinella”).
    Personalmente ho sempre trovato più imbarazzanti i nomignoli (tettine, pisellotto, patatina, etc.), che fanno nascere conversazioni abbastanza paradossali (in primis bambini che nominano parti del corpo degli adulti con nomignoli assurdi).

 

Integrare i nomi corretti nella quotidianità è il primo passo per eliminare il tabù, ma è anche uno dei più difficili, proprio perché potenzialmente influisce moltissimo sulla vita di tutti i giorni.

Informarsi e utilizzare i nomi corretti sembra facile, ma nella pratica potrebbe richiedere ripetizioni allo specchio dei vari termini con cui abbiamo meno familiarità.
Per esempio “vulva” che in italiano viene utilizzato praticamente solo in ambito medico, ma che è il termine corretto con cui si dovrebbe identificare gli organi genitali esterni femminili, mentre la vagina è il canale interno che collega utero e vulva.

 

  • Privacy
    Il concetto di privacy e pudore è un altro argomento difficile da scardinare da alcuni preconcetti religiosi e sociali, a prescindere da quanto questo possa rivelarsi deleterio per lo sviluppo e la costruzione dell’autostima dei bambini (e degli adulti).
    È difficile trovare e capire dove sta la linea di demarcazione tra troppo pudore che potrebbe causare vergogna e troppo poco pudore che potrebbe generare imbarazzo e situazioni spiacevoli in casa e fuori. In primis la difficoltà risiede in questo caso nel fatto che è uno dei parametri più personali e legati alla famiglia specifica.

 

Da un lato è importante far passare il messaggio che la nudità non sia qualcosa da nascondere e il proprio corpo non sia qualcosa di cui vergognarsi. Questo ovviamente passa anche attraverso l’esempio e le manifestazioni della relazione che le figure di attaccamento primario hanno con il proprio corpo.
Può essere che noi non siamo a nostro agio nel mostrarci nudi e quindi la “via di mezzo” (per rispettare da un lato il nostro spazio personale e dall’altro evitare di tramandare senso di vergogna) potrebbe essere cambiarci in una stanza diversa e se i bambini entrano chiedere pacatamente di uscire e aspettarci di là, evitando di coprirci immediatamente.

 

Dall’altro è importante rispettare in primis anche lo spazio personale dei bambini e lasciare anche a loro la possibilità di scelta nel momento in cui ci rendiamo conto che sentono il bisogno di privacy.
Può essere che un bambino di cinque anni preferisca cambiarsi senza altre persone che lo guardano ed è importante rispettare questo desiderio senza sminuire la sua richiesta o fare battute.

Intorno ai 5 anni, per esempio, si può iniziare ad insegnare ai bambini a pulirsi da soli e fin dai 2 anni (e prima) si può verbalizzare l’importanza di tenere il proprio corpo al sicuro.

 

In questo senso consentire ai bambini di avere gli strumenti non solo per nominare in maniera corretta le parti del corpo, ma anche per avere consapevolezza del proprio spazio personale, è il primo passo per parlare e interiorizzare il concetto di consenso.

  • Gravidanza
    Probabilmente l’argomento legato alla sessualità che ci crea meno problemi e anche uno dei primi che viene affrontato solitamente.
    Prendiamolo come “test iniziale” per vedere quanto andiamo in ansia in questi contesti.
    Sembra facile, ma anche qui ci sono domande specifiche che possono facilmente mandarci in imbarazzo e la tentazione di rispondere utilizzando “cavolo” o “cicogna” potrebbe farsi sentire.

 

Nei casi in cui i bambini si dimostrino particolarmente interessati all’argomento e a capire cosa succede nella pancia, possiamo procurarci fotografie e libri adeguati (anche quelli per adulti con immagini nitide in base allo stadio di sviluppo potrebbero essere un buon approccio).
L’ottica è sempre quella di fornire strumenti che consentano a noi di avere una base per superare l’imbarazzo e ai bambini materiale per approfondire se interessati. Tutto nell’ottica sempre di avere la mediazione dell’adulto.

 

Le informazioni fondamentali in questo caso sono il fatto che lo spermatozoo (semino) del papà si è unito all’ovulo (uovo) della mamma e hanno formato un bambino, che inizialmente era piccolissimo e man mano è cresciuto sempre di più nella pancia della mamma, finché non è stato pronto ed è uscito dalla vagina della mamma.

Il tutto con vari gradi di approfondimento sui vari passaggi (stati di sviluppo del bambino nella pancia oppure anche come respirava e cosa mangiava, etc.) a seconda dell’interesse dei bambini e del caso specifico (inseminazione artificiale, parti gemellari o prematuri, etc.).

Avendo capito da quali argomenti è bene iniziare, possiamo affrontare abusi, sesso e masturbazione, e passare anche ad alcune domande e situazioni molto specifiche e più comuni di quanto si possa pensare.

Oppure a vedere il video di recap con tutte tutte le info, qui.

Bambini e Sessualità – da che età e perchè parlarne

Una volta affrontate le premesse su tabù e definizione del termine sessualità, possiamo passare a un paio di domande più concrete.

DA CHE ETA’?

La domanda più gettonata in assoluto, forse anche perché sottende una richiesta implicita di poter rimandare e procrastinare il più possibile qualcosa che ci mette a disagio.

“Purtroppo” la risposta è “da subito”.

Dal lato fisico la sessualità è presente nei bambini fin da prima del parto. Sono state documentate tramite ecografie e vari studi come i bambini maschi siano già in grado di avere un’erezione nell’utero e come la stimolazione dell’organo pelle generi piacere (o dolore) anche se il cervello non è ancora sviluppato adeguatamente per registrare gli stimoli.

Dal lato cognitivo, si può iniziare a parlare di sessualità fin da quando da piccolissimi iniziamo ad interagire con loro toccando, indicando e nominando le varie parti del corpo.

Per le spiegazioni più “dettagliate” dipende anche dall’interesse dei bambini, ma generalmente già dai 2 anni si può tranquillamente iniziare a parlare di gravidanza per esempio.
Questo “aspettare che sia il bambino a chiedere”, però, non ci impedisce di far notare alcuni aspetti e meccaniche facendo osservazioni sul mondo che ci circonda (persone incinta, bambini appena nati, libri, etc.)

PERCHE’?

A volte le ansie e i dubbi ci portano a pensare che la scelta corretta sia ricadere nell’ “aspetto che me lo chieda lui”.
L’obiettivo di base è che i bambini percepiscano che possono parlare con noi, sollevare questioni e porre domande, a prescindere dall’argomento.
Questo va contro l’idea che a volte ci portiamo dietro del “discorso” da fare in un determinato momento non meglio precisato durante la crescita.
Il voler fare “the talk” sembra allettante per noi adulti, perché ci consente di pensare che possiamo ridurre tutti gli sforzi ad un singolo momento circoscritto nel tempo.

Ma analizzando la cosa è decisamente contro producente: perché noi, avendo evitato di parlarne per la maggior parte del tempo, saremo estremamente in imbarazzo e, magari nell’ottica di finire il prima possibile, eviteremo di trattare determinati aspetti o non riusciremo ad analizzare le reazioni ed eventuali richieste implicite di approfondimento. Per loro perché, non avendone mai parlato con noi, saranno estremamente in imbarazzo e sarà molto più probabile che non registrino le informazioni perché troppo concentrati a cercare di tagliare il discorso e dimenticarsi che sia mai successo.

Se invece iniziamo a mostrarci aperti anche a parlare di questo argomento, magari esplicitando comunque l’imbarazzo, aumentiamo le probabilità che nel momento in cui sorgono loro dei dubbi, cerchino noi per ottenere risposte.

Perché l’alternativa, banalmente, è l’internet o gli amici.
E quindi una serie di contenuti non filtrati da noi, spesso pensati per adulti, e spesso non troppo realistici.

Avendo approfondito il perchè sia importante e da che età parlarne, capire da quali argomenti è bene iniziare, possiamo affrontare abusi, sesso e masturbazione, e passare anche ad alcune domande e situazioni molto specifiche e più comuni di quanto si possa pensare.

Oppure a vedere il video di recap con tutte tutte le info, qui.

Parchi e dinamiche sociali