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Gestione delle emozioni (dei bambini)

La gestione delle emozioni nei bambini è un tema che diventa centrale circa dai 2 anni, quando il bambino inizia a sviluppare un senso di “sé” e a testare i limiti fisici del mondo circostante: in poche parole quello che può fare e quello che non può fare.

Il tema diventa, quindi, complesso quando, oltre ad analizzare l’emozione e la frustrazione dei bambini si cerca di capire cosa può fare l’adulto concretamente per accompagnarli.

Di base noi sappiamo che dobbiamo cercare di mantenere la calma, quindi quando il bambino va ad esplorare diverse modalità di espressione e si rende conto di QUALE è la modalità che ci fa reagire, istintivamente, nel tempo, la assimilerà e diventerà la sua modalità di espressione delle frustrazioni privilegiata.
Perché?
Perché, involontariamente, gli abbiamo dato questo feedback.

Questo è il motivo per cui solitamente sembra che la modalità di espressione delle emozioni e frustrazioni dei bambini sia sempre quella modalità che ci fa particolarmente imbestialire!

Facciamo un passo indietro.

Nell’ambito educativo si parla spesso di “specchio emotivo” e “contenimento emotivo da parte dell’adulto”. E sostanzialmente si fa riferimento al fatto che i bambini hanno bisogno degli altri (solitamente gli adulti) per apprendere come si vive e ci si comporta in determinate situazioni.
Questo perché la capacità imitativa dei bambini, che è già stata riconosciuta a livello pratico da moltissimo tempo, ha le sue origini nella presenza dei neuroni specchio.
Sostanzialmente ci sono dei neuroni che quando osserviamo qualcun altro fare una determinata azione, “si accendono” allo stesso identico modo di come si accenderebbero se noi stessi stessimo facendo quell’azione.

Questa costatazione ci consente di definire una base piuttosto semplice sul “come insegnare ai bambini a gestire le emozioni”: la capacità del bambino di capire, contenere ed esprimere le emozioni che sta vivendo, soprattutto nel lungo periodo, è direttamente proporzionale alla capacità e competenze che hanno gli adulti di riferimento che gli stanno intorno.

E’ sufficiente che noi adulti impariamo a gestire le nostre emozioni per far sì che i bambini apprenderanno naturalmente per osservazione e imitazione da noi!

Questa è la buona e la cattiva notizia insieme!
Perché lavorare sulla gestione delle emozioni da adulti, dopo che durante la crescita e negli anni, sono state assimilate e consolidate specifiche modalità, è molto difficile e complesso.

La buona notizia è che se facciamo questo sforzo noi, eviteremo che loro si trovino in questa stessa situazione da adulti!

Cosa dobbiamo fare concretamente?

Purtroppo, quando si parla di gestione delle emozioni non si intende solo l’espressione esteriore: tono di voce, postura, azioni. E quindi tutte quelle modalità come urlare, lanciare/rompere oggetti, aggredire fisicamente oggetti e persone.
Ma si intende anche l’intensità dell’emozione stessa che magari non viene esteriorizzata.
Questo perché i bambini riescono a percepirla comunque.

Quindi?
La nota positiva è che solitamente lavorando sulle modalità di espressione esteriori si arriva a modificare anche l’intensità dell’emozione stessa.

La modifica dei comportamenti diventa quindi abbastanza intuitiva: i comportamenti da evitare sono abbastanza evidenti e risultano chiari dopo una breve analisi.
La difficoltà sta nel fatto che nel momento in cui la forza dell’emozione super un certo livello è come se la parte razionale del nostro cervello si spegnesse.
Sostanzialmente il sistema limbico e il cervello rettiliano prendono totalmente il controllo e la corteccia smette di avere una parte della gestione delle nostre azioni.
Questo perché millenni di evoluzione hanno fatto sì che ci sviluppassimo per garantire la sopravvivenza della specie e ovviamente nei momenti di pericolo, attacco o fuga la capacità di agire istintivamente e senza mediazione del pensiero razionale (che ci rallenterebbe) è fondamentale.

La domanda diventa quindi: come possiamo fare per mantenere il controllo razionale ed evitare che la corteccia si spenga?

La tecnica che io ho trovato molto utile e che magari può fungere da spunto per capire il meccanismo e trovare ulteriori modalità è il verbalizzare.
Sostanzialmente ogni volta che mi rendo conto che mi sto irritando o sto andando in frustrazione (a prescindere dal motivo) comincio a sforzarmi di mettere a parole quello che sta succedendo e che sto provando.
Questo ha due effetti: il primo è che mi dà la sensazione di avere controllo su quello che sento (se gli do un nome, diventa più facile capirlo e saperlo gestire) e il secondo è che l’energia che sono costretta ad utilizzare per analizzare ed esprimere il tutto viene di fatto tolta all’emozione stessa.

Sono così concentrata a capire perché una determinata situazione mi causa quella reazione emotiva (es: il ricevere pizzicotti da un bambino mi ricorda quando all’asilo venivo messa in castigo perché litigavo con gli altri, nonostante fossero loro ad iniziare) e a trovare le parole per esprimerla, che smetto di essere arrabbiata.

Una volta che ci si abitua alla verbalizzazione si può passare a lavorare sui contenuti di quel che si dice, mirandoli un po’ di più all’aiutare il bambino con ciò che sta vivendo.

Riguardo a questo, negli anni, ho approfondito e applicato il metodo “dillo con la voce” della dott.ssa Simonelli (Psicologa, Clinica Psicoterapeuta e Psicopedagogista).
Sostanzialmente sono cinque passaggi consecutivi che servono ad accompagnare il bambino a capire ciò che sta vivendo e ad affrontarlo in maniera adeguata.

E’ un metodo che non viene naturale da subito (si devono, soprattutto all’inizio, memorizzare i passaggi) e che ha effetti sul medio/lungo periodo, perché il bambino deve avere il tempo di capire e interiorizzare ciò che gli viene detto.

I passaggi sono:

Primo passaggio fondamentale: sto dando un nome alla cosa che il bambino sente!
MA lo sto facendo in modo delicato con un “mi sembri”, evito quindi di dare un’imposizione e gli lascio lo spazio per replicare dicendomi che “no, io mi sento…”

Secondo passaggio: sto dando voce alla motivazione plausibile.
Di nuovo utilizzando la formula del “forse” lascio comunque spazio al bambino per spiegarmi che ho sbagliato interpretazione o per correggere la formulazione della frase se sente che le parole che ho usato non lo rispecchiano completamente.

Terzo passaggio: fondamentale!
Validazione dell’emozione! Può capitare all’inizio di non ricordarsi tutti i punti o saltarne alcuni, sforziamoci tantissimo di ricordarci questo!
Non importa quanto futile sembri la motivazione scatenante, non importa quanto sproporzionata ci sembri la reazione: HAI RAGIONE AD ESSERE… SE…!
Lasciamo fuori il giudizio, anche perché è incentrato su quelle che sono delle percezioni e delle standardizzazioni sociali con cui siamo cresciuti.
Ricordiamoci sempre che non è una nostra prerogativa decidere se un’emozione o la sua intensità può essere accettabile o no! E’ sempre e solo una prerogativa di chi la sta vivendo! (bambino o adulto che sia)

Il bambino, se accogliamo e accettiamo l’emozione che sta vivendo, autonomamente col tempo, imparerà a modulare la reazione in modo adeguato alle circostanze.

Quarto passaggio: spiegazione razionale. Qui subentra la motivazione logica, è una parte necessaria alla rielaborazione successiva del bambino, ma non aspettiamoci che recepisca immediatamente il senso di quello che gli stiamo spiegando.

Sto sostanzialmente rimarcando l’utilizzo del metodo come soluzione adeguata all’espressione e alla gestione dell’emozione che il bambino sta vivendo!
Il quinto e ultimo passaggio è da utilizzare quando il bambino ha riacquisito la calma ed è quindi in grado di recepire un’ulteriore analisi razionale.

Un paio di precisazioni e postille a margine.
Mi sono resa conto che spesso, soprattutto quando i bambini non sono abituati al metodo “dillo con la voce”, è funzionale ripetere il terzo e quarto passaggio in loop dopo una prima fase di esplicazione totale dei primi quattro.
Quindi la costante ripetizione del “HAI RAGIONE ad essere… se…“ con occasionalmente il “purtroppo però…”  in un tono di voce tranquillo, sereno e pacato (che è fondamentale sempre, a prescindere) li aiuta moltissimo su due livelli contemporaneamente. Da un lato inizialmente il tono di voce e la presenza serena dell’adulto gli danno il feedback fisico del “va tutto bene”, dall’altro lato viene supportato anche dalle parole e dalla frase accogliente che rimarca il messaggio del “va bene che tu sia… (arrabbiato, triste, etc), io lo accetto e sono qui…”

Un’ulteriore nota a margine è che il metodo può essere utilizzato fin da subito! Non importa che il bambino sappia parlare, perché saremo noi a prestargli la nostra voce e a dare comunque un nome a quello che sta sentendo.
In questo modo sostanzialmente il bambino, nel momento in cui acquisirà il linguaggio, avrà già una padronanza della comprensione ed espressione dell’emozione decisamente maggiore!

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