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Le loose parts sono quei materiali che possono essere utilizzati dai bambini (e dagli adulti) senza una funzione o uno scopo prestabilito. Uno degli aspetti fondamentali è che consentono ai bambini di scoprire, testare ipotesi ed esplorare il mondo in modo autonomo, seguendo i propri interessi, capacità cognitive e competenze. In questo modo, il processo di scoperta e gioco acquisisce un margine di manovra maggiore, aumentando la godibilità e l'efficacia del materiale stesso. Inoltre, sostiene il senso di autoefficacia, l'autostima, la fantasia e la capacità di gioco autonomo del bambino.

Questa modalità di utilizzo dei materiali ha due particolarità molto interessanti:

  1. Sono gli oggetti ad adeguarsi alle esigenze del bambino. Lo stesso materiale verrà utilizzato in modo diverso a seconda dell'età e delle competenze di chi lo utilizza.
  2. Il gioco destrutturato non è necessariamente una caratteristica insita nell'oggetto, ma una modalità di pensiero della persona che lo utilizza, a prescindere dall'età.

In questo senso, tutti i giochi (anche quelli in scatola con scopi predefiniti) si prestano ad usi alternativi fuori dagli schemi. L'importante è non creare paletti e consentire usi alternativi e combinazioni che potrebbero venirci in mente. Quindi no, non servono chili di pigne per giocare in modo destrutturato!


Integrare il gioco destrutturato non è sempre facile, soprattutto perché noi adulti non siamo abituati a giocare "per giocare". Proviamo a partire dalle basi:

  1. Sfruttiamo i gusti dei bambini! Se tuo figlio ama i dinosauri, parti da quelli e integra con altri materiali.
  2. Usiamo l'età come indicatore per trovare spunti (ricordando che ogni bambino è unico):
    • Cesto dei tesori con materiali di uso comune da esplorare liberamente
    • Materiali naturali (pigne, legnetti, sassi, tessuti) combinati con altri giochi
    • Costruzioni usate in nuovi contesti o modalità alternative
    • Giochi in scatola senza istruzioni, sia classici che nuovi
  3. Divertiamoci anche noi! Cerchiamo di non bloccare il gioco e di formulare ipotesi insieme ai bambini. La frase chiave è: "Secondo te cosa succede se...?"

Un passettino per volta, e questo approccio ci verrà sempre più naturale. Provare per credere!

Ogni materiale può essere usato in diversi modi e sviluppare capacità e competenze specifiche. Tendiamo a dividere le proposte in giochi strutturati (con modalità e finalità definite dagli adulti) e materiali destrutturati (senza direttive o limitazioni).

Ma lo spoiler è che TUTTI i materiali possono essere destrutturati, basta usarli ignorando le regole prestabilite, scardinando le aspettative e utilizzando immaginazione e fantasia, a prescindere dal pensiero che c'è dietro. I bambini sono più portati a questo pensiero divergente, mentre noi adulti dobbiamo allenarlo.

Spesso ci chiediamo a cosa serva un oggetto o un gioco, usando la risposta come determinante per capirne il valore da proporre ai nostri bambini. Ma un oggetto o un gioco servono a molto più di quanto si possa immaginare!

Parlando di giochi, l'educazione al bello va ben oltre l'aspetto estetico. L'esposizione a materiali e oggetti belli e curati aiuta i bambini a sviluppare sensibilità estetica, apprezzamento per la bellezza che ci circonda e cura. Perché gli oggetti curati invogliano naturalmente a riporli correttamente, a mantenerli puliti e a maneggiarli con attenzione. Materiali curati e ben organizzati facilitano la curiosità, favoriscono l'esplorazione e offrono opportunità di apprendimento significative, incoraggiando l'interesse e l'entusiasmo dei bambini. Trasmettono un messaggio (più o meno esplicito) di attenzione e stima nei confronti dei bambini e delle loro competenze.

Quindi, la prossima volta chiediamoci: "Ok, potrebbe piacerci? Potrebbe darci gioia?"

Non vogliamo aprire il dibattito "sculacciate sì o no" o ascoltare giustificazioni come "non è mai morto nessuno" o "noi siamo cresciuti così". Piuttosto, fermiamoci un attimo insieme e riflettiamo.

Quando sentiamo "sta facendo i capricci", immaginiamo subito un bambino che non riesce a contenersi, sopraffatto da emozioni intense che forse nemmeno riusciamo a cogliere appieno. Vediamo un comportamento sbagliato. Tutto questo riguarda il bambino.

Ma quello che spesso non registriamo è l'adulto che pronuncia quella frase. Anche l'adulto è in quella situazione di non riuscire a contenere le proprie emozioni e sta avendo un comportamento inadeguato. Perché? Perché ENTRAMBI, adulto e bambino, sono in una situazione che non riescono a gestire, con emozioni che non riescono a controllare. E molto probabilmente hanno la corteccia cerebrale "spenta", reagendo istintivamente.

La domanda è: davvero noi adulti abbiamo bisogno di ricorrere alle punizioni fisiche per "riaccendere" la corteccia?


Il "muso" (termine bergamasco per indicare le facce contrariatedie bambini e adulti) viene spesso interpretato come un modo per farci pena, smuoverci o costringerci a cambiare idea su un "no". Ma se invece fosse un modo per esprimere uno stato d'animo? Per comunicare la contrarietà?

Se lo interpretiamo così, non dobbiamo più ribadire che è inutile, sentirci contestati o far presente che "il no rimane no". Possiamo invece dire: "Vedo che sei contrariato. Credo che sia perché ti ho detto di no. E mi dispiace. Hai ragione ad essere contrariato se è perché ti ho detto di no. Speravo anche io di poterlo fare, ma...". Diventa uno specchio in cui mostriamo di vederli e un ponte per gestire insieme quell'emozione e trovare un compromesso.


Il fatto che le punizioni non facciano sentire il bambino accolto, capito e compreso dovrebbe bastare per non usarle. Anche se a volte abbiamo l'impressione che sia l'unica cosa che non abbiamo ancora provato. Le punizioni ci danno l'illusione di agire concretamente per risolvere un problema ricorrente. Ma lo snodo è che le punizioni NON FUNZIONANO SUL LUNGO PERIODO.

Si basano sul bloccare un impulso per paura delle conseguenze, lasciando il bambino da solo a gestire le emozioni e i comportamenti in momenti in cui parte del suo cervello è "spento". Inoltre, se questa è la nostra reazione agli sbagli, è improbabile che il bambino venga a parlarci temendo di ricevere comunque una punizione.

L'idea dovrebbe essere che siamo noi a facilitare loro nel diventare adulti, non loro a facilitare noi nell'esserlo.

Vero, esistono sistemi come le "stelline" che funzionano. Ma il rischio è di perdere di vista il processo e, come con le punizioni, forzare i bambini in un meccanismo di causa-effetto senza un'assimilazione delle regole. Potremmo anche andare in frustrazione e sbottare quando gli obiettivi non vengono raggiunti.

Più che le stelline, dovremmo trovare un modo per verbalizzare e lodare anche gli sforzi, anche se il risultato non è stato ottenuto al 100%: "Ho apprezzato molto che stasera ti sei messo il pigiama la prima volta che te l'ho detto. So che per te è uno sforzo importante".

Perché le punizioni non dovrebbero funzionare? Perché si basano sull'idea che il bambino ricordi le sensazioni spiacevoli e "la prossima volta" si regoli di conseguenza, non ripetendo il comportamento. Ma ci sono due problemi:

  1. Le punizioni sono solitamente arbitrarie, cambiano in base all'umore e al momento in cui l'adulto si trova a reagire. Più le variabili sono casuali, più sarà difficile per i bambini usarle come metodo di autoregolazione.
  2. I bambini hanno la corteccia non ancora completamente sviluppata, quindi è più difficile per loro mantenere il controllo quando provano emozioni forti. Eppure è proprio questo che gli stiamo chiedendo: controllare la rabbia, ignorare i desideri.

Ci sono adulti in prigione perché non hanno rispettato la legge nonostante sapessero le conseguenze e avessero la corteccia completamente sviluppata. È davvero così verosimile chiedere a un bambino di avere un'autoregolazione maggiore?

Facciamo una prova: immaginiamo di discutere animatamente di un argomento controverso e, a un certo punto, ti tiro una sberla in faccia. Probabilmente non ti calmi, ma ti blocchi per lo shock. Se questa cosa si ripete più volte, quale sarà la conclusione del tuo cervello? Probabilmente che devi smettere di discutere determinati argomenti con me, non perché ti ho convinto o hai capito la base del discorso, ma perché vuoi evitare lo schiaffo.

QUESTO è il motivo per cui la punizione fisica non è educativa. Non funziona con gli adulti, perché dovrebbe funzionare con i bambini?

Come funzionano le emozioni nel cervello e nel corpo

  1. Un evento scatenante cattura la nostra attenzione attraverso i sensi come la vista, l'udito o l'olfatto. Potrebbe essere un rumore, una situazione o un odore specifico.
  2. Le informazioni sensoriali vengono inviate all'amigdala, la parte del cervello che valuta la rilevanza emotiva dello stimolo e determina se dobbiamo reagire emotivamente.
  3. Se l'amigdala considera lo stimolo importante, invia un segnale ad altre aree cerebrali che controllano le emozioni e i pensieri coscienti.
  4. La corteccia prefrontale elabora le informazioni per comprendere appieno ciò che sta accadendo e "decidere" come reagire in modo appropriato.
  5. Quando proviamo un'emozione intensa, il corpo la manifesta esternamente in vari modi fisici come un aumento del battito cardiaco, della frequenza respiratoria o sensazioni viscerali nello stomaco.

Questo perché il cervello invia segnali al corpo attraverso il sistema nervoso. Se l'attivazione emotiva è troppo elevata, le manifestazioni diventano istintive e incontrollate poiché la corteccia "si disattiva", rendendo difficile filtrare razionalmente i comportamenti.

Ci sono frasi che tendiamo a dire automaticamente ai bambini arrabbiati, ma che in realtà non aiutano e possono addirittura peggiorare la situazione. Immaginate di essere furiosi per un motivo e qualcuno vi dice "Calmati adesso!". L'istinto naturale sarebbe di arrabbiarsi ancora di più perché nei momenti di rabbia intensa è il cervello limbico, la parte istintiva, ad essere attiva, non la corteccia razionale.

In questi momenti, le domande logiche, le spiegazioni, le regole o i tentativi di bloccare il comportamento non funzionano. Ciò che funziona è l'accoglienza, sia verbale con frasi come "Hai ragione! Vedo che sei proprio arrabbiato! Ti capisco. È normale!", sia non verbale attraverso abbracci, carezze (se il bambino lo permette), un tono di voce calmo e sereno.

Solo dopo che il bambino ha ripreso il controllo delle emozioni, possiamo passare al piano razionale con spiegazioni, soluzioni ed eventualmente regole. Il "prima calmati poi ne parliamo" serve a noi per ricordarci la sequenza, ma non va detto ad alta voce al bambino arrabbiato.

Le emozioni nascono dai pensieri: capire le cause per autoregolarsi

Non amo le frasi assolute perché di solito basta fermarsi a riflettere per trovare eccezioni. Questa però l'ho "masticata" a lungo prima di convincermi che è davvero sempre così: le emozioni vengono generate da una parte del cervello, il sistema limbico, come risposta a un pensiero.

Percepiamo una situazione, uno stimolo o un evento e il sistema limbico risponde con un'emozione, che a sua volta si manifesta attraverso espressioni facciali, verbali o corporee. Ogni situazione può generare una o più emozioni, talvolta specifiche come l'odio ("rabbia perché non mi capisci"), oppure miste come la frustrazione (mix di rabbia e tristezza).

Capire cosa ha innescato un'emozione ci consente di lavorare "sulla causa", ovvero la percezione e il pensiero sottostante, in modo molto più efficace. Siamo più efficaci perché facciamo sentire l'altro capito ("Forse sei arrabbiato perché G. ti ha rubato il gioco. Hai ragione!") e gli forniamo gli strumenti per comprendere le ragioni di base e quindi autoregolarsi meglio.

Quando proviamo rabbia, sapere che è dovuta all'impotenza ci aiuta fermandoci, respirando e cercando di capire cosa possiamo fare concretamente per modificare la situazione o allontanarci dal contesto. Paradossalmente, il solo passaggio di cercare una soluzione può aiutare il cervello a diminuire la percezione di impotenza. E se non funziona, ripetiamoci: "Hai ragione a provare rabbia per..."


Evitare di giudicare o minimizzare le emozioni dei bambini

Quando si tratta di gestire le emozioni dei bambini, a volte abbiamo la tendenza a giudicare o minimizzare ciò che per loro è importante. Possiamo cadere nella trappola di pensare: "È una sciocchezza!" o "Non è un grande problema". Ma questa reazione può essere dannosa per i bambini e per la comunicazione con loro.

I bambini percepiscono il mondo in modo diverso dagli adulti. Quello che potrebbe sembrare insignificante o irrilevante per noi, potrebbe essere di enorme importanza per loro. Quando giudichiamo o minimizziamo i loro sentimenti, rischiamo di invalidare le loro emozioni. E questo può far sentire i bambini incompresi, non ascoltati e, di conseguenza, farli reagire con un aumento dell'intensità delle loro reazioni emotive.

Un bambino che esprime un'emozione e ottiene una reazione del tipo "Non è niente" può sviluppare una maggiore frustrazione e confusione, portando a comportamenti più intensi o una maggiore difficoltà nel recuperare la serenità, perché cerca disperatamente di comunicare l'intensità delle sue emozioni.

Dovremmo sforzarci di accogliere e comprendere le emozioni dei bambini, anche se ci sembrano eccessive o irrazionali. Sospendendo il giudizio e i metri di misura adulti, possiamo fermarci a osservare e, se serve, "prestare loro la voce" nel descrivere la situazione. Da un lato ci alleneremo ad osservare le cause e i trigger, dall'altro loro si sentiranno davvero capiti e riusciranno più facilmente a recuperare la serenità.

L'importanza di far sentire i bambini capiti nelle loro emozioni

Spesso ci troviamo di fronte a situazioni in cui i bambini sono coinvolti in problemi o esperienze emotivamente intense. Come adulti, il nostro compito dovrebbe essere aiutarli a comprendere le cause, dare un nome alle emozioni e trovare strategie per gestirsi o risolvere.

Ma è davvero così importante far capire ai bambini che abbiamo colto la gravità di ciò che stanno vivendo? Anche perché a volte è già abbastanza difficile spegnere il filtro mentale del "Ma è una sciocchezza!".

Dobbiamo riuscire a sintonizzarci con loro e a fargli capire che davvero abbiamo capito che PER LORO in quel momento è gravissimo che la banana si sia spezzata o il bicchiere sia del colore sbagliato. Perché se si sentiranno capiti davvero, non avranno bisogno di mantenere l'attivazione emotiva così alta per così a lungo.

Se la persona che ho davanti ha capito la gravità della cosa, allora forse posso concedermi di calmarmi. Non serve che urli per esprimere e far capire il livello di frustrazione.

Può sembrare controintuitivo: "Se valido che è sempre tutto gravissimo, come capirà a distinguere quando lo è davvero o meno?". Ma il punto cruciale è che non possiamo essere noi a decidere l'impatto che un evento ha sulle altre persone, adulti e bambini.

Avere accanto qualcuno che li fa sentire capiti a prescindere dalla sproporzione emotiva rispetto alla causa, darà loro il margine per cominciare a distinguere loro stessi quali sono le cose "gravi" e quali quelle più risolvibili.

Non è facile, né spontaneo, ma credo sia davvero importante quanto meno provarci per stabilire e mantenere una relazione di comprensione e sostegno emotivo.

L'Importanza di Rivedere i Nostri "No"

Dopo anni di lavoro con i bambini, mi sono resa conto di una cosa: noi adulti diciamo tantissimi "no". 😱⁣ E spesso sono detti senza pensarci troppo. 😬⁣

Ci sono i "no" che nascono dalla fretta 😅, quelli che derivano dal non avere tempo o voglia di fermarsi ad ascoltare veramente la richiesta 😰, e altri che arrivano dalla fatica che un "sì" comporterebbe nel trovare una soluzione o un compromesso. 🤕⁣ A volte sono regole necessarie 👍, ma spesso sono solo un modo per evitare di pensare o ragionare su qualcosa che potrebbe metterci a disagio. 😱⁣

Hanno tutti una cosa in comune: sono muri. 🧱⁣ Comunicano uno stop molto netto e forte. E a volte serve. Le regole, i muri, i blocchi, e i limiti contenitivi sono importanti per i bambini!⁣

Ma cerchiamo di trovare modalità comunicative diverse, più accoglienti quando possibile. 🤔⁣ Facciamo sentire i bambini (e gli adulti) ascoltati. Fermiamoci a soppesare veramente la richiesta e il contesto che la circonda.⁣

Anche se alla fine ci sarà un "no", partire con un "Perché vorresti questa cosa?" o un "Ok, fammi pensare un attimo a cosa si può fare…" fa tutta la differenza del mondo! ❤⁣

Immaginate di accorgervi di avere una corda tutta attorno al corpo. 😳⁣ In un primo momento, potreste rimanere stupiti, tipo "Oh. Ma cosa sta succedendo?" 😶⁣

E allora provate a testare un po'. Vi muovete. Cercate di allargare le fessure. Provate a capire quanto agio avete e se riuscite a sciogliervi muovendovi. 🤔⁣

Più passa il tempo, più vi rendete conto che siete bloccati. Magari provate a chiamare qualcuno, ma il senso di claustrofobia, blocco, e impotenza scatta prima. E allora arriva il panico. 😱⁣

Il momento in cui il vostro cervello fa "click" e tentate IN OGNI MODO e CON TUTTE LE VOSTRE FORZE di liberarvi.⁣

Immaginate che proprio in quel momento arrivi qualcuno. Che magari sa anche sciogliere i nodi benissimo, eh. 😏⁣

Ma voi vi state muovendo in maniere talmente frenetiche e talmente senza controllo, che il risultato è che gli tirate una gomitata.⁣

Non l'avete fatto apposta, ma tant'è. La gomitata se l'è presa. E non è nemmeno detto che serva a voi a calmarvi. 😅⁣

⚠️ Ecco. Questo è più o meno quello che succede ai bambini quando provano emozioni forti. 😬⁣

Se riusciamo ad anticipare e ad accorgercene quando stanno ancora testando la corda, possiamo agire in maniera più efficace.⁣ E chiedergli di spiegarci per trovare una soluzione insieme, ad esempio. ❤️⁣

Se arriviamo dopo il "click", dobbiamo mettere in conto che sarà prima fondamentale rimanere in ascolto e accoglienti, finché non riprendono la calma.⁣ Per POI tornare insieme sul piano razionale. ❤️

Sfide nella Comunicazione con i Bambini: Comprendere il Loro Sviluppo

La prima situazione che ci viene in mente, credo sia quella in cui i bambini continuano a mettere in atto comportamenti che abbiamo esplicitamente vietato. 😬⁣ Oppure quando dobbiamo ripetere loro 6 volte una cosa prima che la recepiscano. 🤔⁣

Ecco! 😏⁣ A volte ci dimentichiamo che i bambini non hanno ancora completato lo sviluppo del cervello a livello fisico. (Che poi la corteccia si completa del tutto a 25 anni, giusto per dare l'idea 😳)⁣

Eppure a volte ci viene da pensare "non mi ascolta" o "ha capito, ma lo fa apposta".⁣ Perché applichiamo un filtro adulto a persone che adulte ancora non sono. E che per quanto si sforzino non sempre hanno le competenze e le capacità per far fronte alle nostre richieste. 🤕⁣

Perché magari la regola è stata detta 10 minuti prima e nel frattempo gli è passato di mente. 😅⁣ Perché magari il cambio di contesto ha fatto sì che non collegassero il comportamento alla regola astratta. 😱⁣ Perché magari la regola non l'avevano proprio capita o perché l'avevano interpretata in modo diverso. 🤔⁣

O magari perché non era stata spiegata la motivazione. 🤯⁣

Le cause potenziali sono davvero tante e l'unica soluzione funzionale sul lungo termine rimane la ripetizione incessante e pacata della regola.⁣


Gestire l'Esplosione Emotiva: Riflessioni e Azioni Post-Sbotto

Queste sono due frasi che, a prescindere dallo stampatello maiuscolo, leggo come se fossero urlate. Come quella rabbia che sale e cresce, cresce, cresce, fino a sbottare nel "BASTA!!"

🛑 E allora fermiamoci un attimo. E no, non voglio dire "fermiamoci un attimo prima", perché non sempre si riesce. Perché una volta uscita quella frase diventa inutile pensare "e se avessi detto...", etc. 😅 Ragioniamoci a posteriori e utilizziamo gli "e se..." per la prossima volta.

⚠️ Per ora è successo. Ho sbottato. E di solito appena finito lo sbotto la pressione scende e ci consente di tornare (un minimo) lucidi. 😅

E la lucidità ci fa rendere conto o che stiamo per esplodere di nuovo o che forse sta arrivando il senso di colpa. 😳 E a prescindere, usiamo quegli istanti per verbalizzare una cosa: "sono talmente arrabbiato in questo momento che ho urlato. Sono talmente arrabbiata che ho bisogno di andare un attimo di là a calmarmi."

E qui i punti chiave sono: ⚠️ IO sono arrabbiato. IO sto vivendo quest'emozione. ⚠️ IO ho urlato. IO ho avuto questo comportamento. Qui possiamo aggiungere, se ce la sentiamo, un "non dovevo" o un "non è colpa tua!" ⚠️ IO ho bisogno di staccare.

E qui capiamoci: per i bambini l'interruzione di relazione con l'adulto è dolorosa. Potrebbero pensare di esser loro la causa. Potrebbero pensare che non vanno bene (loro, non il comportamento).

Perché la usiamo allora? ☝ Ci aiuta davvero a tranquillizzarci. 🤞 Applicandola e rendendoci conto che ci facilita, possiamo riuscire sempre di più ad anticipare il momento. Da dopo la sfuriata a prima! 😉 👌 I bambini ci vedono e potrebbero riuscire a mettere in pratica a loro volta questa modalità. 🛑 Se decidono di farlo, è comunque fondamentale che sappiano (sentano?) che se hanno bisogno noi ci siamo. E questa consapevolezza si ottiene con tanta verbalizzazione. Tanti tanti momenti di condivisione e di restauro della relazione interrotta.

Un passettino per volta, un pezzettino per volta diventiamo più consapevoli noi e più competenti loro (e viceversa 😉)

Genitori Perfetti? Anche No!

Ci ripetiamo spesso che "nessuno è perfetto", eppure ci imponiamo standard altissimi con i bambini. Un solo errore ci sembra imperdonabile, e quando sbagliamo, ci sentiamo come se avessimo fatto crollare tutto.

⚠️ Ma è solo una percezione legata al senso di colpa e alla frustrazione! ⚠️

L'Importanza di Mostrare la Realtà

I bambini hanno bisogno di vedere adulti reali che:

Verbalizzazione e Consapevolezza

Questo approccio favorisce la verbalizzazione, che diventerà sempre più integrata nel comportamento. I bambini capiranno che nessuno è perfetto, e da adulti, potranno imporsi standard più realistici.

Il Concetto di "Genitore Sufficientemente Buono"

Secondo Winnicott, un genitore deve essere in sintonia con il bambino solo il 33% del tempo e dedicare un altro 33% per ristabilire la relazione dopo una rottura. Questo è sufficiente per crescere adulti equilibrati.

Gli Errori Sono Umani

Tutti commettiamo errori. È fondamentale non lasciarsi sopraffare dal senso di colpa e spiegare ai bambini (e agli adulti) cosa stiamo vivendo.

Accompagnare i bambini nel loro percorso di crescita è una delle sfide più difficili in assoluto. È meraviglioso poter "abbassarsi" al loro livello e vedere il mondo attraverso i loro occhi, avendo il tempo e le energie per osservare e comprendere cosa cattura il loro interesse. Seguire passo dopo passo le mosse dettate dalla loro curiosità nell'esplorazione del mondo circostante è un'esperienza unica e preziosa.

A volte, però, dobbiamo fermarci e riflettere sulle difficoltà del nostro compito. Accettare che anche per noi adulti è un percorso fatto di prove ed errori. I limiti sono importantissimi, ma stabilirli e mantenerli può essere complesso e spesso molto faticoso. Capita che manchino tempo, energia o attenzione, perché nessuno è perfetto. Uscire dagli schemi adulti e mettersi in sintonia con i bambini è più impegnativo di quanto si possa pensare.

Accompagnare i bambini nella loro crescita comporta ansia, dubbi, sconforto e paure, che spesso sono alimentati da consigli non richiesti e critiche. In questi momenti, è importante fare un respiro profondo e concentrarci sul prossimo sguardo dei nostri bambini. Un passettino alla volta, possiamo farcela.


L'Incertezza dell'Essere Genitori

È sorprendente quante volte sento frasi di questo tipo. 😱⁣ Perché fanno emergere un grande disagio: un dubbio, un'ansia e un'angoscia che ci accompagnano costantemente quando ci occupiamo dei bambini. Tutto può essere riassunto con un "e se stessi sbagliando?" 😰⁣

Il Dubbio È Naturale

Il dubbio è intrinseco. Lo portiamo con noi nell'essere adulti, consapevoli che, nonostante ci informiamo costantemente, non esiste una soluzione unica che metta d'accordo tutti.⁣

L'Influenza degli Altri

Aggiungiamo gli sguardi, i commenti e i consigli più o meno non richiesti, e persino i giudizi espliciti. È facile rendersi conto che il pensiero "forse hanno ragione loro" è sempre dietro l'angolo. 😰⁣

Affermazioni da Sfidare

🛑 NO.⁣ ⚠️ Non hanno ragione loro "perché funziona".⁣ Il nostro obiettivo è a lungo termine.⁣

⚠️ Non hanno ragione loro "perché ci stiamo facendo mettere i piedi in testa".⁣ Sappiamo benissimo che la nostra soluzione non è darla vinta ai bambini sempre e comunque.⁣

⚠️ Non hanno ragione loro "perché si è sempre fatto così".⁣ Non è una motivazione valida per ignorare studi e scoperte scientifiche sullo sviluppo durante la crescita.⁣

La Forza della Comunità

Potrei continuare all'infinito.⁣ Ma concludiamo con un:⁣ ⚠️ Non hanno ragione loro "perché sono la maggioranza".⁣ Perché noi siamo tanti!⁣ SIAMO TANTI!⁣

Non Siete Soli

Ho la fortuna e il privilegio di entrare in contatto, conoscere e confrontarmi con tanti di voi che condividono questo problema.⁣ E davvero, non siete soli. Ci sono molte persone che la pensano come voi, che credono nei bambini e nell'importanza di sostenerli e accoglierli.⁣

Siete tanti.⁣ Siamo tanti! ❤


Un'altra frase gettonatissima nei messaggi privati. 😰⁣ In questo caso, non sempre proviene da un giudizio esplicito da parte di altri. Spesso nasce dal confronto che facciamo rispetto a ciò che vediamo fare dagli altri adulti e genitori che ci circondano.⁣

Gli Altri ci Fanno Notare Comportamenti Migliori

1️⃣ **Sono gli altri che ci fanno notare comportamenti o pratiche migliori delle nostre.**⁣ 🛑 La base dovrebbe sempre essere il rispetto reciproco. I consigli non richiesti non sono rispettosi, indipendentemente dall'intenzione.⁣

Detto ciò, proviamo a immaginare che la persona davanti a noi ha fatto un'enorme fatica per capire o mettere in pratica quel comportamento che ora condivide.⁣

Magari è un modo per dire: "Se ce l'ho fatta io, ce la puoi fare anche tu". 👉 "Ti stimo talmente tanto che penso che per te sarebbe più facile".⁣

Oppure esprime una frustrazione non sempre consapevole: "Vorrei tanto che anche tu lo facessi, così avrei la conferma che era la scelta giusta". 👉 "Ho sempre mille dubbi e avere qualcun altro che condivide le mie scelte mi farebbe stare meglio".⁣

Il Confronto con Sé Stessi

2️⃣ Siamo noi che facciamo il confronto. 🤔⁣ Dobbiamo ricordarci un principio chiave: 🛑 siamo presenti 24 ore su 24 per i nostri errori e le nostre fatiche, mentre assistiamo solo a un pezzettino dei comportamenti degli altri.⁣ Non possiamo percepire le loro difficoltà.⁣

Accettare gli Errori

Diventa fondamentale accettare gli sbagli, gli errori, gli sforzi che non riusciamo a fare, e i compromessi che scegliamo per non uscire di testa.⁣

E VA BENE COSÌ.⁣ Essere buoni genitori significa anche essere consapevoli e accettare che siamo persone.⁣ E in quanto persone, non siamo perfetti.⁣

Usiamo gli errori e i confronti per fare scelte ponderate e cercare di fare un passettino in più nella direzione che abbiamo deciso di seguire.

La Sfida della Comunicazione tra Genitori ed Educatori

Comunicare è un elemento cruciale nella crescita dei nostri bambini, ma a volte può essere una vera sfida. 🤔⁣ Perché è così difficile parlare con gli educatori e i maestri?

Diversi Punti di Vista

Prospettive Diverse: Genitori ed educatori hanno punti di vista differenti sulla vita del bambino. I genitori vedono il contesto domestico, mentre gli educatori vedono quello scolastico. Questa differenza di prospettive può creare sfide nel trovare un punto di incontro nella comunicazione.⁣

Tempo Limitato

🕑 Orari Affollati: Entrambe le parti spesso hanno orari pieni e impegni. Trovare un momento di serenità per conoscersi e stabilire un dialogo non è sempre facile. 🥲⁣

Ruoli Diversi

💼 Ruoli Differenti: Genitori ed educatori hanno ruoli diversi nella vita del bambino. Sembra una banalità, ma è importante porsi in modo che l'altra parte non si senta attaccata o giudicata, e questo non sempre è facile. 😥⁣

Ascolto Empatico

👂 Ascolto Empatico: A volte ci concentriamo tanto su ciò che vogliamo dire che non ascoltiamo veramente l'altro. La comunicazione richiede ascolto empatico da entrambe le parti. ❤️⁣

Superare le Sfide

🌟 Superare le Sfide: È possibile superare queste sfide. È importante ricordare che entrambe le parti hanno l'interesse del bambino a cuore. Creare un ambiente di dialogo aperto, rispettoso ed empatico può aiutare a superare queste barriere.⁣

Non sempre è facile o scontato e non sempre ci si trova "a pelle". Esistono però strategie pratiche che possono facilitare la creazione di ponti per una comunicazione più efficace. ❤️

Questo tema mi sta particolarmente a cuore perché ero uno di quei "bambini-cozza" – timidissimi, sempre attaccati alla gamba della nonna, evitando di guardare negli occhi chiunque. Questi bambini spesso non sanno come staccarsi e gli adulti, nel tentativo di aiutarli a diventare più sicuri e autonomi, possono commettere errori controproducenti.

La Sfida del Distacco

Istintivamente, potremmo pensare di spronarli e spingerli a socializzare, ma questa tattica non funziona. Anzi, può causare resistenza e ansia. Il bambino percepisce la forzatura, sprecando energia per opporsi e sviluppando frustrazione e senso di inadeguatezza.

La Soluzione: Essere una Base Sicura

Invece di forzarli, dovremmo sostenerli restando accanto a loro come una "base sicura". Frasi come "Puoi tenermi la mano quanto vuoi" offrono sicurezza. Sapendo che possono contare su di noi, i bambini inizieranno a esplorare gradualmente.

Passi Graduali verso l'Autonomia

Le esperienze positive, vissute a piccoli passi, rafforzeranno l'autostima e la consapevolezza delle loro competenze. È fondamentale che l'adulto contenga le proprie ansie e desideri, permettendo ai bambini di conquistare autonomia nei loro tempi.

In conclusione, la chiave per affrontare il distacco è fornire un sostegno costante e paziente, rispettando il ritmo di crescita del bambino. Solo così potremo aiutarli a sviluppare una solida autostima e fiducia in sé stessi.

Strategie per Favorire l'Autonomia senza Forzature

L'idea di base è "non forzarlo". Saperlo e riuscire a trovare strategie adeguate da utilizzare nei contesti sociali sono due cose diverse. Ecco come possiamo agire in due situazioni comuni per facilitare i bambini nell'acquisizione dell'autonomia, facendoli comunque sentire sicuri.

Situazione di Gioco in Contesti Sociali

Quando siamo al parco, in uno spazio gioco, o a casa di amici, può venirci istintivo dire: "Guarda come si divertono gli altri!" o "Tu sei il più grande, dovresti dare l'esempio". Queste frasi possono generare frustrazione. Invece, proviamo a verbalizzare la situazione: "Mi sembri un po' in ansia. Forse è perché non conosci quei bambini e hai paura che non vogliano giocare con te?". Così facendo, il bambino si sente compreso. Poi, offriamo un compromesso: "Se vuoi, possiamo giocare insieme per un po'".

Momento del Saluto

Quando si tratta di salutare qualcuno, possiamo evitare frasi come "Si deve salutare" o "Guarda che ____ piange se non la saluti". Se il bambino è ansioso o frustrato, possiamo dire: "Saluto io per entrambi!". Se c'è insistenza da parte dell'altra persona, possiamo normalizzare l'ansia del bambino: "A volte anche io non me la sento di salutare". Questo difende e normalizza i sentimenti del bambino.

Il Serbatoio Affettivo: Come Funziona e Perché è Importante

Tutte le persone, indipendentemente dall'età, hanno un "serbatoio affettivo". Questa metafora ci aiuta a comprendere meglio come funzioniamo emotivamente.

Il Serbatoio Affettivo

Quando il nostro serbatoio affettivo è vuoto, diventiamo nervosi e irritabili, esprimendo i nostri bisogni in modo meno chiaro, spesso con comportamenti negativi come respingere gli altri.

Cosa Ricarica il Serbatoio:

  1. Tempo di qualità con l'adulto: Momenti di attenzione dedicata.
  2. Empatia e connessione: Sentirsi compresi nelle relazioni.
  3. Contatto fisico: Abbracci e gesti affettuosi.
  4. Soddisfazione dei bisogni: Essere accuditi nelle necessità quotidiane.
  5. Gioco e autonomia: Attività ludiche e spazi per esprimere indipendenza.

Cosa Scarica il Serbatoio:

  1. Stress: Situazioni di pressione emotiva.
  2. Relazioni con scarsa empatia: Mancanza di comprensione reciproca.
  3. Solitudine e isolamento: Mancanza di interazioni sociali.
  4. Forzature e senso di fallimento: Sentirsi obbligati a fare qualcosa o non all'altezza.
  5. Punizioni e urla: Metodi disciplinari negativi.

Responsabilità degli Adulti

A differenza dei bambini, gli adulti hanno una maggiore capacità di analisi e gestione delle emozioni. Anche se il nostro serbatoio emotivo può essere scarico, è nostra responsabilità rispondere ai bisogni originari dei bambini, anche quando mostrano comportamenti difficili o sproporzionati.

L'Importanza di Non Sparire Senza Avviso

Sparire senza dire nulla al bambino con la scusa che "è troppo piccolo per capire" o "altrimenti piange" è altamente deleterio. Questo comportamento induce il bambino a sperimentare un vero e proprio senso di abbandono e confusione, incrinando la sua fiducia negli adulti e compromettendo la sua sicurezza nell'esplorare l'ambiente circostante.

Fiducia e Base Sicura

Al contrario, se il bambino sa che può sempre trovare il genitore quando si volta, si sentirà più sicuro nel fare nuove esperienze. La certezza di avere l'adulto come "base sicura" da cui attingere supporto nei momenti di frustrazione o difficoltà è fondamentale.

Quando l'adulto preannuncia l'allontanamento, il bambino impara che non deve preoccuparsi se non vede l'adulto, perché sa che non se ne andrà senza avvisare. Questo non elimina necessariamente la tristezza o la frustrazione, ma aiuta il bambino a capire e gestire meglio la situazione.

La gestione delle emozioni nei bambini è un tema che diventa centrale circa dai 2 anni, quando il bambino inizia a sviluppare un senso di “sé” e a testare i limiti fisici del mondo circostante: in poche parole quello che può fare e quello che non può fare.

Il tema diventa poi complesso quando, oltre ad analizzare l’emozione e la frustrazione dei bambini si cerca di capire cosa può fare l’adulto concretamente per accompagnarli.

Di base noi sappiamo che dobbiamo cercare di mantenere la calma, quindi quando il bambino va ad esplorare diverse modalità di espressione e si rende conto di QUALE è la modalità che ci fa reagire, istintivamente, nel tempo, la assimilerà e diventerà la sua modalità di espressione delle frustrazioni privilegiata.
Perché?
Perché, involontariamente, gli abbiamo dato questo feedback.

Questo è il motivo per cui solitamente sembra che la modalità di espressione delle emozioni e frustrazioni dei bambini sia sempre quella modalità che ci fa particolarmente imbestialire!

Facciamo un passo indietro.

Nell’ambito educativo si parla spesso di “specchio emotivo” e “contenimento emotivo da parte dell’adulto”. E sostanzialmente si fa riferimento al fatto che i bambini hanno bisogno degli altri (solitamente gli adulti) per apprendere come si vive e ci si comporta in determinate situazioni.
Questo perché la loro capacità imitativa, che è già stata riconosciuta a livello pratico da moltissimo tempo, ha le sue origini nella presenza dei neuroni specchio.
Sostanzialmente ci sono dei neuroni che quando osserviamo qualcun altro fare una determinata azione, “si accendono” allo stesso identico modo di come si accenderebbero se noi stessi stessimo facendo quell’azione.

Questa costatazione ci consente di definire una base piuttosto semplice sul “come insegnare ai bambini a gestire le emozioni”: la capacità del bambino di capire, contenere ed esprimere le emozioni che sta vivendo, soprattutto nel lungo periodo, è direttamente proporzionale alla capacità e competenze che hanno gli adulti di riferimento che gli stanno intorno.

E’ sufficiente che noi adulti impariamo a gestire le nostre emozioni per far sì che i bambini apprenderanno naturalmente per osservazione e imitazione da noi!

Questa è la buona e la cattiva notizia insieme!
Perché lavorare sulla gestione delle emozioni da adulti, dopo che durante la crescita e negli anni, sono state assimilate e consolidate specifiche modalità, è molto difficile e complesso.

La buona notizia è che se facciamo questo sforzo noi, eviteremo che loro si trovino in questa stessa situazione da adulti!

Cosa dobbiamo fare concretamente?

Purtroppo, quando si parla di gestione delle emozioni non si intende solo l’espressione esteriore: tono di voce, postura, azioni. E quindi tutte quelle modalità come urlare, lanciare/rompere oggetti, aggredire fisicamente oggetti e persone.
Ma si intende anche l’intensità dell’emozione stessa che magari non viene esteriorizzata.
Questo perché i bambini riescono a percepirla comunque.

Quindi?
La nota positiva è che solitamente lavorando sulle modalità di espressione esteriori si arriva a modificare anche l’intensità dell’emozione stessa.

La modifica dei comportamenti diventa quindi intuitiva: i comportamenti da evitare sono abbastanza evidenti e risultano chiari dopo una breve analisi.
La difficoltà sta nel fatto che nel momento in cui la forza dell’emozione super un certo livello è come se la parte razionale del nostro cervello si spegnesse.
Sostanzialmente il sistema limbico e il cervello rettiliano prendono totalmente il controllo e la corteccia smette di avere una parte della gestione delle nostre azioni.
Questo perché millenni di evoluzione hanno fatto sì che ci sviluppassimo per garantire la sopravvivenza della specie e ovviamente nei momenti di pericolo, attacco o fuga la capacità di agire istintivamente e senza mediazione del pensiero razionale (che ci rallenterebbe) è fondamentale.

La domanda diventa quindi: come possiamo fare per mantenere il controllo razionale ed evitare che la corteccia si spenga?

La tecnica che io ho trovato molto utile e che magari può fungere da spunto per capire il meccanismo e trovare ulteriori modalità è il verbalizzare.
Sostanzialmente ogni volta che mi rendo conto che mi sto irritando o sto andando in frustrazione (a prescindere dal motivo) comincio a sforzarmi di mettere a parole quello che sta succedendo e che sto provando.
Questo ha due effetti:

Sono così concentrata a capire perché una determinata situazione mi causa quella reazione emotiva (es: il ricevere pizzicotti da un bambino mi ricorda quando all’asilo venivo messa in castigo perché litigavo con gli altri, nonostante fossero loro ad iniziare) e a trovare le parole per esprimerla, che smetto di essere arrabbiata.

Una volta che ci si abitua alla verbalizzazione si può passare a lavorare sui contenuti di quel che si dice, mirandoli un po’ di più all’aiutare il bambino con ciò che sta vivendo.

Riguardo a questo, negli anni, ho approfondito e applicato il metodo “dillo con la voce” della dott.ssa Simonelli (Psicologa, Clinica Psicoterapeuta e Psicopedagogista).
Sostanzialmente sono cinque passaggi consecutivi che servono ad accompagnare il bambino a capire ciò che sta vivendo e ad affrontarlo in maniera adeguata.

E’ un metodo che non viene naturale da subito (si devono, soprattutto all’inizio, memorizzare i passaggi) e che ha effetti sul medio/lungo periodo, perché il bambino deve avere il tempo di capire e interiorizzare ciò che gli viene detto.

I passaggi sono:

“Mi sembri… (arrabbiato, triste, furioso, frustrato, esasperato, etc)”

Primo passaggio fondamentale: sto dando un nome a ciò che il bambino sente!

Ma lo sto facendo in modo delicato con un “mi sembri”, evito quindi di dare un’imposizione e gli lascio lo spazio per replicare dicendomi che “no, io mi sento…”

“Forse sei… (arrabbiato, triste, furioso, frustrato, esasperato, etc) perché… (volevi il bicchiere viola è c’è solo quello blu, non trovi il tuo ciuccio, etc

Secondo passaggio: sto dando voce alla motivazione plausibile.


Di nuovo utilizzando la formula del “forse” lascio comunque spazio al bambino per spiegarmi che ho sbagliato interpretazione o per correggere la formulazione della frase se sente che le parole che ho usato non lo rispecchiano completamente.

“HAI RAGIONE a essere… (arrabbiato, triste, furioso, frustrato, esasperato, etc) se… (volevi il bicchiere viola è c’è solo quello blu, non trovi il tuo ciuccio, etc)”

Validazione dell’emozione! 

Terzo passaggio: fondamentale!

Non importa quanto futile sembri la motivazione scatenante, non importa quanto sproporzionata ci sembri la reazione: HAI RAGIONE AD ESSERE… SE…!

Può capitare all’inizio di non ricordarsi tutti i punti o saltarne alcuni, sforziamoci tantissimo di ricordarci questo!

Lasciamo fuori il giudizio, anche perché è incentrato su quelle che sono delle percezioni e delle standardizzazioni sociali con cui siamo cresciuti.
Ricordiamoci sempre che non è una nostra prerogativa decidere se un’emozione o la sua intensità può essere accettabile o no! E’ sempre e solo una prerogativa di chi la sta vivendo! (bambino o adulto che sia)

Il bambino, se accogliamo e accettiamo l’emozione che sta vivendo, autonomamente col tempo, imparerà a modulare la reazione in modo adeguato alle circostanze.

“Purtroppo però…”

Quarto passaggio: spiegazione razionale.

Qui subentra la motivazione logica, è una parte necessaria alla rielaborazione successiva del bambino, ma non aspettiamoci che recepisca immediatamente il senso di quello che gli stiamo spiegando.

“La prossima volta che ti senti… dillo con la voce”

Sto sostanzialmente rimarcando l’utilizzo del metodo come soluzione adeguata all’espressione e alla gestione dell’emozione che il bambino sta vivendo!

Il quinto e ultimo passaggio è da utilizzare quando il bambino ha riacquisito la calma ed è quindi in grado di recepire un’ulteriore analisi razionale.

Un paio di precisazioni e postille a margine.
Mi sono resa conto che spesso, soprattutto quando i bambini non sono abituati al metodo “dillo con la voce”, è funzionale ripetere il terzo passaggio in loop dopo una prima fase di esplicazione totale dei primi tre.
Quindi la costante ripetizione del “HAI RAGIONE ad essere… se…“ con occasionalmente il “purtroppo però…”  in un tono di voce tranquillo, sereno e pacato (che è fondamentale sempre, a prescindere) li aiuta moltissimo su due livelli contemporaneamente.

Un’ulteriore nota a margine è che il metodo può essere utilizzato fin da subito! Non importa che il bambino sappia parlare, perché saremo noi a prestargli la nostra voce e a dare comunque un nome a quello che sta sentendo.
In questo modo sostanzialmente, nel momento in cui acquisirà il linguaggio, avrà già una padronanza della comprensione ed espressione dell’emozione decisamente maggiore!

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