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Bambini e lutto

Di seguito la versione a testo del video che potete trovare qui.

La morte di qualcuno che ci era caro e il processo di lutto che ne consegue, sono un argomento molto complesso e decisamente personale.

Ognuno affronta queste situazioni in maniera unica, in base al suo carattere, alle esperienze che ha avuto e agli strumenti che ha a disposizione.
E a prescindere da tutto, è nella vita uno dei momenti più carichi emotivamente, dolorosi, a volte difficili e con una durata temporale potenzialmente anche molto lunga.
Quindi prima di andare ad esaminare alcuni degli snodi centrali dell’argomento, mi piacerebbe portare l’attenzione su un singolo dato che risalta e ha decisamente la priorità su tutto il resto:

“Quando qualcuno a cui teniamo muore ed entriamo in lutto, è FONDAMENTALE ricordarci che la priorità è prenderci cura di noi.
Darci spazio e tempo. Accettare le emozioni, a prescindere da quali esse siano o da quanto intensamente si manifestano.
E accettare anche quei comportamenti che attiviamo come meccanismi di difesa. A prescindere che siano più o meno accettabili socialmente, più o meno funzionali alla vita di tutti i giorni, più o meno fastidiosi per noi o chi ci sta accanto.
Se dovessimo decidere un singolo frangente in cui possiamo permetterci di fermarci e non giudicarci è proprio questo.”

Non accettando quello che stiamo vivendo, sforzandoci di avere uno o più comportamenti e giudicandoci per questo o per il come stiamo reagendo, rendiamo il processo di lutto ancora più difficoltoso, doloroso e potenzialmente lungo nel tempo.

Detto questo possiamo andare ad analizzare alcune tematiche centrali, quando si parla di morte e lutto nell’ottica educativa con bambini e adulti.

La morte è uno dei più grossi tabù della nostra società.
Un po’ per istinto, un po’ per modalità viste e assimilate dall’esterno, evitiamo di parlarne. Come se non parlarne potesse mascherare in parte quello che è successo o facesse diminuire il dolore.

Da adulti possiamo fermarci e riflettere per capire se e in che frangenti attiviamo questo tipo di meccanismo di difesa. Già averne consapevolezza dovrebbe facilitarci nell’affrontare un pochino per volta il tema.

I bambini, più piccoli sono meno filtri hanno, per cui capita che se assistono direttamente o indirettamente alla morte di qualcuno, comincino a fare domande specifiche.
Lo fanno perché capire qualcosa è un modo molto funzionale per poter gestire le emozioni legate a quella situazione specifica. Se capisco perché e come il nonno è morto, magari non mi passa la tristezza che non c’è più, ma riesco ad evitare di essere terrorizzato che muoiano anche la mamma e il papà, per esempio.

È quindi fondamentale rispondere alle domande dei bambini. Anche quella più banali o assurde.
Con l’obiettivo di spiegare loro il più accuratamente e verosimilmente possibile quello che è successo, sempre nell’ottica della rassicurazione.
A volte sembra davvero più difficile di quello che non è in realtà.
Cerchiamo di partire rassicurando noi stessi: i bambini difficilmente verranno traumatizzati da ciò che gli raccontiamo. Spesso quando insistono con una domanda o su un aspetto specifico è perché vogliono essere sicuri di aver capito.
Pensiamo al fatto che la morte non è esattamente un fenomeno che possono vedere e sperimentare più e più volte finché il cervello non assimila il concetto di base e il tutto risulta chiaro.
Quindi la stragrande maggioranza delle informazioni arriva dalle nostre spiegazioni verbali (e dall’accoglimento e accompagnamento emotivo) e, purtroppo, questo tipo di canale di apprendimento ha bisogno di più tempo e notevoli ripetizioni in più rispetto all’apprendimento pratico.

Spiegazioni

Abbiamo già detto che il dire la verità è fondamentale. Ma quando si tratta di morte, la verità dei singoli piò essere anche molto diversa a seconda di religione, cultura e credenze personali.

Qui cerchiamo di concentrarci su ciò che NOI riteniamo vero. Poi più il bambino sarà grande, più si potrà eventualmente spiegare che esistono anche altri punti di vista diversi, ma il focus principale deve proprio essere sul fatto che io adulto spiego, nella maniera più semplice, lineare e chiara possibile, quello che è successo.

Per questo eufemismi ed espressioni tipiche come “se ne è andato” o “non c’è più” o ancora “è venuto a mancare”, possono generare l’illusione che la morte sia uno stato temporaneo, soprattutto se non sono accompagnate da una spiegazione o una contestualizzazione da parte dell’adulto.

Domande specifiche come per esempio il “ma non si sveglia più?” o il “sembra che stia dormendo”, sono legate al fatto che fino ai 6 anni circa per i bambini è inconcepibile il concetto di “morte” in sé e il fatto che questo stato di “simil sonno” sia permanente.
Per questo è probabile che insistano più e più volte sul “mai”.

Cerchiamo sempre di accogliere queste loro domande in maniera serena e pacata, dando risposte esaustive (anche se fosse sempre la stessa risposta all’infinito).

A volte il rischio è che noi ci spazientiamo o abbiamo difficoltà e soffriamo nel parlare della morte di una persona cara e questo viene solitamente percepito dai bambini, che possono iniziare ad adottare dei comportamenti differenti. Potrebbero, per esempio, smettere di chiedere o sollevare l’argomento, perché pensano che quello che ci fa star male sia il loro fare domande.
E’ quindi importante verbalizzare anche questo pezzettino: “so che quando ne parliamo divento triste. E sono triste perché la nonna è morta, ma tu puoi farmi tutte le domande che vuoi e possiamo parlarne ogni volta che vuoi, perché anche in mezzo alla tristezza, ricordare la nonna mi rende un po’ felice.”

Oppure, nel caso in cui davvero sia troppo da gestire per noi, esplicitiamolo il più serenamente possibile: “capisco che tu voglia parlare dello zio, ma in questo momento sono davvero troppo triste.

Emozioni

Un po’ mi sento a disagio nel contribuire alla separazione fittizia tra emozioni e spiegazioni teorico/verbali, che in realtà sono strettamente legate tra loro. Però per avere una struttura maggiormente scorrevole e più facilmente fruibile ho optato per separarle (anche se si contaminano comunque palesemente a vicenda).

La parte emotiva è fondamentale per diversi aspetti.

In primis è complessissima: ci sono le NOSTRE emozioni di adulto, le emozioni dei bambini, il come esprimiamo entrambe e la nostra capacità di gestirle.

Andiamo con ordine:

  • Le NOSTRE emozioni di adulti sono giustificate. Sempre a prescindere da quali siano o dall’intensità che assumono. Non esiste un “troppo triste per…” e non credete a nessuno che vi dice il contrario.
    VOI state vivendo quell’emozione e solo VOI potete sapere quanto è intensa, a prescindere dal se il resto del mondo la ritiene adeguata alle circostanze.

Accettiamoci e accettiamo le emozioni che ci attraversano in un momento già estremamente difficile, senza che decidiamo di aggiungerci metri di misura esterni e arbitrari.

Allo stesso modo, anche non sentire nulla potrebbe benissimo essere un meccanismo di difesa ed è meritevole di non giudizio e accettazione ugualmente.

  • Le emozioni dei bambini sono giustificate. Sempre a prescindere da quali siano o dall’intensità che assumono. Uguale come sopra? Sì, ma ho pensato di ripeterlo, che non si sa mai che la prima volta non fosse stato abbastanza convincente.

Le emozioni dei bambini in questo contesto hanno un ulteriore ramificazione importante. E cioè il fatto che devono essere contenute, accolte e sostenute da adulti in grado di dare un nome e aiutarli nel capire come gestire quello che sentono.

Anche se la malinconia è tale da impedirgli di giocare. Anche se sono sopraffatti dalla rabbia nei confronti di chi è morto.

Accogliamo quello che sentono, perché non possiamo essere noi a determinare quale o con che intensità sono attraversati da un’emozione specifica. Quello che possiamo fare concretamente è stargli accanto, accettare quello che sentono, farli sentire capiti, normalizzare quello che sta succedendo loro e proporre o trovare insieme delle strategie per gestirlo al meglio.

Quindi? Verbalizzare!

“Capisco che sei furente con la bisnonna perché è morta. Hai ragione ad essere arrabbiato perché vorresti abbracciarla, ma non si può. E’ normale arrabbiarsi quando ci sono cose che desideriamo tantissimo e che ci fanno stare male. Se vuoi possiamo provare ad abbracciare il peluche che ti aveva regalato a Natale e vedere se magari così la rabbia passa un po’”.

E’ facile? No, per nulla. Essere travolti dalle nostre emozioni, ricordarci che dobbiamo accettarle, mantenere dei comportamenti quanto meno funzionali nella vita e nel frattempo accogliere, legittimare e aiutare anche i bambini a gestire le loro emozioni è un’impresa che sembra impossibile.

E lo diventa davvero se ci prefissiamo standard o obiettivi che non sono verosimili.

Se torniamo all’inizio dell’articolo e ricordiamo lo snodo centrale sull’accettazione, ci rendiamo conto che la su cui possiamo mettere degli obiettivi è il non giudizio. Accettiamo che a volte non verbalizzeremo al meglio. Accettiamo che a volte non ci accorgeremo che nostro figlio ha bisogno di parlarne o di supporto. Accettiamo che a volte noi non riusciamo davvero ad affrontare l’argomento in quel preciso momento. Accettiamo che a volte sbottiamo, reagiamo male e magari cerchiamo di modificare le emozioni dei bambini esprimendo giudizi.

Accettiamoci.

E, se proprio vogliamo fare un ulteriore sforzo oltre al sopravvivere al marasma che ci travolge in questi mesi, sforziamoci di verbalizzare. Sforziamoci di buttare giù quelle barriere e quei muri difensivi che abbiamo costruito negli anni e che sembrano insormontabili, perché tra le altre cose nascondono una valanga di dolore.

Perché parlarne fa bene a noi in primis, ma fa bene anche ai bambini che crescendo possono assimilare questa modalità di attraversamento del lutto in maniera naturale e senza trovarsi poi a doversi sforzare da adulti per cambiare meccanismi già assodati negli anni.

Il funerale è un rito che è parte della nostra cultura e che racchiude l’idea del “soffrire insieme” per poter condividere il dolore e aiutarsi a vicenda a superarlo.

È un momento intenso e molto carico a livello emotivo, sia per gli adulti, sia a maggior ragione per i bambini.
Alla domanda “ma è il caso che lo porti al funerale?” rispondiamo subito dicendo che non c’è una risposta unica: “sempre sì” o “sempre no”.

Ci sono diversi fattori da considerare e emozioni che entrano in gioco in maniera ancora più prepotente in questo caso.

Il funerale è un momento in cui si ha la possibilità di dare l’ultimo saluto alla persona che è morta.
Questo spesso aiuta gli adulti nel processo di lutto e, per lo stesso principio potrebbe aiutare anche i bambini.

Allo stesso tempo, però potremmo anche essere nella situazione in cui ci troveremmo decisamente a disagio se il bambino non fosse in grado di stare fermo e zitto durante la cerimonia. Cosa tra l’altro, a seconda dell’età, anche abbastanza comprensibile, vista la quantità di persone che esprimono emozioni in maniera più o meno esplicita in un contesto che non fa esattamente parte della vita quotidiana.

E la motivazione “non me la sento” è comunque un fattore da considerare.
Senza giudizio, senza sensi di colpa.

Oltre alla citatissima verbalizzazione, possiamo utilizzare due tipologie di supporti.

– Oggetti transizionali.
Il peluche regalato dalla nonna, una foto da tenere in tasca o un braccialetto. Qualcosa di concreto che possa essere stretto nei momenti di particolare dolore e malinconia.
I quadrotti famiglia si basano proprio su questo principio ed è un po’ come se il bambino (o l’adulto) potesse stringere concretamente il proprio caro a sé.

– Libri.
Qui serve davvero tanto tanto tatto.
Il libro non è una medicina: ho questo problema, cerco questo titolo.
E’ un supporto da integrare a quanto detto finora, perché se no rischia di diventare invadente e rimarcare ulteriormente l’idea che l’adulto non vuole parlare dell’argomento.
Bisogna cercare di cambiare prospettiva: invece che proporre il libro sperando che il bambino immagazzini il messaggio di fondo (e faciliti il lavoro a noi), proponiamo il libro per consentirgli di avere uno spunto concreto da cui partire per eventuali domande o approfondimenti (e facilitare il lavoro a lui).

Postilla sugli animali domestici a margine, giusto per ribadire che a volte noi adulti perseveriamo nella convinzione che, siccome gli animali domestici non sono persone, non facciano parte della famiglia.

In realtà tutto quello detto sopra è applicabile anche a loro. Proprio perché non può essere qualcuno dall’esterno a determinare quali sono le emozioni o l’intensità adeguata ad una determinata situazione o il grado di affetto all’interno di una relazione.

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