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Mese: Giugno 2020

Albi illustrati e come sceglierli!

Eccoci!

A parlare di LIBRI ILLUSTRATI per l’infanzia.

Uno degli argomenti più complessi, sfaccettati, e senza linee guida pratiche precise e complete né per genitori né per adulti “addetti ai lavori”.
Sì, perché spesso le informazioni che si riescono a reperire sono sulle competenze del bambino nelle varie fasce di età: “nei primi mesi vede solo contrasti di bianco e nero a distanza ravvicinata e poi si aggiungono rosso e azzurro.” oppure “la protostoria può essere seguita propriamente dai 18 mesi circa.”, etc.

Una delle premesse fondamentali è che, soprattutto nell’infanzia, la lettura di un libro è un momento di intimità tra bambino e adulto. Un momento in cui il bambino si sente coccolato e avvolto dalle parole, dal tono di voce, dal ritmo della lettura e spesso dalle braccia dell’adulto stesso, mandando, a volte, in secondo piano il contenuto della storia.

Questo significa che si dovrebbe leggere cose a caso senza pensare?
NO! Però cerchiamo di tenere sempre a mente questo concetto basilare, soprattutto quando alcune delle nozioni e dei criteri di scelta dei libri scardinano completamente o mettono in discussione quelle che sono state le nostre scelte per le letture fino a ieri.

Spesso c’è una differenza sostanziale tra quelle che sono le informazioni reperibili dai genitori e quelle che sono invece le indicazioni che vengono date e sono seguite da educatori e maestre.
Questo per molteplici motivi: in primis la lettura 1 a 1 spesso non è possibile nei contesti educativi e questo per forza incide sulla tipologia di libro  scelto (fosse anche solo per il formato), si presuppone sempre che chi ha che fare con i bambini per lavoro abbia delle competenze professionali specifiche e più tempo per informarsi, verificare e selezionare tutte le proposte che vengono fatte ai singoli bambini e al gruppo.

Siccome, però, questa visione alimenta una sorta di barriera (come se il genitore non potesse essere in grado di avere una performance adeguata per scelta di testi o semplicemente per modalità di lettura, perché non all’altezza dell’educatore per capacità e competenze), vorrei soffermarmi su due aspetti fondamentali.

Il primo è che nessuno nasce imparato. Nemmeno noi educatori.
Quando ho iniziato, durante il tirocinio, a “essere obbligata” a leggere libri ai bambini (perché i bambini ti portano i libri da leggere mentre sono sul servizio. Mica lo sanno che tu sei in ansia e hai paura di sbagliare!) mi sono presto resa conto che la cosa era molto più facile di quello che mi aspettavo. I bambini volevano rivivere e rivedere i libri illustrati che amavano di più e poco importava che io non li leggessi con le stesse tempistiche o intonazione dell’educatrice responsabile o della bibliotecaria da cui andavamo a fare le letture!
Il secondo step è stato, un paio di anni dopo, quando ho preso in gestione un servizio di spazio gioco (in cui gli adulti di riferimento sono SEMPRE presenti durante la mattinata) e ho dovuto (perché, convinta dell’importanza della lettura nella fascia 0-3 anni, avevo deciso di inserire un momento dedicato ai libri nella routine della mattinata) leggere davanti a 8 adulti semi-sconosciuti che, diciamocelo, mi stavano decisamente giudicando.

La conclusione di queste, a tratti angoscianti, esperienze è stata per mia grande sorpresa una miriade di complimenti: genitori che dopo la mia “performance” (decisamente NON ottimale, vista l’ansia che l’aveva accompagnata), mi confidavano titubanti che loro non si sentivano in grado di leggere un libro o di avere le competenze per sceglierne uno adatto e quindi optavano sempre per i “senza parole” o per quelli tattili.
In poche parole mi facevano complimenti per questa mia capacità, che ai loro occhi era vista come magica e inarrivabile. E a nulla servivano le mie rassicurazioni sul fatto che, fino a un paio di anni prima, anche io ero nella loro STESSA IDENTICA SITUAZIONE.

Arriviamo quindi al secondo aspetto fondamentale.

Nessuno ti dice come fare.
Nessuno.
Né ai genitori, né agli educatori.

Il mio percorso di studi (laurea triennale in scienze dell’educazione) mi ha formato su diversi aspetti teorici, ma in nessun punto c’è stato un approfondimento sulla tematica “letture per l’infanzia” se non nell’affermare l’idea di base che “è importante leggere ai bambini fin dai primi mesi di vita”.

Io ho avuto la fortuna di fare un percorso di tirocinio di due anni su un servizio educativo, in cui le educatrici responsabili mi formavano sia sugli aspetti teorici sia sugli aspetti pratici.
E in nessun punto del percorso c’è stata, comunque, una discussione organica sugli aspetti di scelta e lettura dei libri illustrati. Perché per moltissimi anni ci si è basati su:

– scelte fatte precedentemente da altri. Che va benissimo! Però cosa ci fa pensare che gli “altri” abbiano fatto scelte basate su nozioni o informazioni più accurate e organiche delle nostre?

– osservazione delle reazioni dei bambini. Di nuovo, una delle cose fondamentali, ma che presuppone comunque un momento di progettazione e scelta consapevole da parte dell’adulto.

– libri considerati “classici” per una determinata fascia di età. Molto simile al primo punto, ma un po’ più complesso perché motivato dalla miriade di feedback positivi di genitori, educatori ed esperti, senza la minima possibilità di argomentare o chiedere spiegazioni senza essere additati come “coloro che non capiscono”.

Queste consapevolezze, man mano che andavano delineandosi nella mia testa, mi hanno portato a ricercare sempre più informazioni sull’argomento (materiali, libri, corsi, etc.), fino ad arrivare al seminario della prof.ssa Silvia Blezza Picherle e del dott. Luca Ganzerla organizzato da Percorsi Formativi 0-6.

In più punti del percorso mi sono resa conto che, per quanto anche le informazioni presenti nel circolo degli educatori fossero per la maggior parte non organiche e disorganizzate, effettivamente c’era una distinzione tra ciò che veniva considerato come fruibile dai genitori e ciò che invece era meglio non condividere.
Non perché gli educatori siano meglio o più intelligenti, ma perché si ha sempre un po’ la paura che inondare di informazione un genitore lo porti o a non essere in grado di processarle tutte o a sentirsi inadeguato.
Entrambi questi risultati sono, ovviamente, poco auspicabili, ma allo stesso tempo questo tipo di scelta ha impedito che i genitori realmente interessati e, magari, in grado di gestire anche le critiche, non siano in grado di reperire informazioni organiche sull’argomento nemmeno volendo.

Quindi, vorrei cercare di condividere quella che è la briciolina di informazioni e competenze che ho accumulato negli anni, senza filtri e senza censure.
Il mio consiglio è tenere sempre a mente il principio inziale “la lettura di un libro è un momento di intimità tra bambino e adulto.”, magari anche scrivendoselo su un fogliettino e attaccandolo alla libreria, o dove sappiamo che è più probabile che siamo colti da momenti di sconforto e dubbi.
La scelta (o le due, tre, dieci, cento) di un albo sbagliato o una lettura (o le due, tre, dieci, cento) non ottimale non comprometteranno le competenze, la crescita, né l’affetto dei bambini nei nostri confronti, né devono essere viste come una messa in discussione delle nostre competenze di genitore!

Il secondo consiglio è, se come me è facile che troppe novità, critiche o informazioni vi facciano sentire overwhelmed (schiacciati e sopraffatti), prendetevi del tempo per leggere “a pezzettini”.

Ho creato diverse sezioni per cercare di mantenere una struttura organica e consentire una lettura dilazionata. Ma anche perché trovo che nella scelta di un albo illustrato sia più congeniale un’analisi che parta dalle caratteristiche dei libri invece che da quelle delle specifiche fasce di età dei bambini.

Detto questo, “la lettura di un libro è un momento di intimità tra bambino e adulto.”.

Dopo aver affrontato le premesse possiamo addentrarci nei vari aspetti più nel dettaglio: formato e lunghezza, tematica, illustrazioni e testi.

Oppure vedere il video comprensivo completo qui o una serie di esempi di analisi (registrazione delle dirette fatte nei mesi su instagram) qui.

Gestione delle emozioni (dei bambini)

La gestione delle emozioni nei bambini è un tema che diventa centrale circa dai 2 anni, quando il bambino inizia a sviluppare un senso di “sé” e a testare i limiti fisici del mondo circostante: in poche parole quello che può fare e quello che non può fare.

Il tema diventa, quindi, complesso quando, oltre ad analizzare l’emozione e la frustrazione dei bambini si cerca di capire cosa può fare l’adulto concretamente per accompagnarli.

Di base noi sappiamo che dobbiamo cercare di mantenere la calma, quindi quando il bambino va ad esplorare diverse modalità di espressione e si rende conto di QUALE è la modalità che ci fa reagire, istintivamente, nel tempo, la assimilerà e diventerà la sua modalità di espressione delle frustrazioni privilegiata.
Perché?
Perché, involontariamente, gli abbiamo dato questo feedback.

Questo è il motivo per cui solitamente sembra che la modalità di espressione delle emozioni e frustrazioni dei bambini sia sempre quella modalità che ci fa particolarmente imbestialire!

Facciamo un passo indietro.

Nell’ambito educativo si parla spesso di “specchio emotivo” e “contenimento emotivo da parte dell’adulto”. E sostanzialmente si fa riferimento al fatto che i bambini hanno bisogno degli altri (solitamente gli adulti) per apprendere come si vive e ci si comporta in determinate situazioni.
Questo perché la capacità imitativa dei bambini, che è già stata riconosciuta a livello pratico da moltissimo tempo, ha le sue origini nella presenza dei neuroni specchio.
Sostanzialmente ci sono dei neuroni che quando osserviamo qualcun altro fare una determinata azione, “si accendono” allo stesso identico modo di come si accenderebbero se noi stessi stessimo facendo quell’azione.

Questa costatazione ci consente di definire una base piuttosto semplice sul “come insegnare ai bambini a gestire le emozioni”: la capacità del bambino di capire, contenere ed esprimere le emozioni che sta vivendo, soprattutto nel lungo periodo, è direttamente proporzionale alla capacità e competenze che hanno gli adulti di riferimento che gli stanno intorno.

E’ sufficiente che noi adulti impariamo a gestire le nostre emozioni per far sì che i bambini apprenderanno naturalmente per osservazione e imitazione da noi!

Questa è la buona e la cattiva notizia insieme!
Perché lavorare sulla gestione delle emozioni da adulti, dopo che durante la crescita e negli anni, sono state assimilate e consolidate specifiche modalità, è molto difficile e complesso.

La buona notizia è che se facciamo questo sforzo noi, eviteremo che loro si trovino in questa stessa situazione da adulti!

Cosa dobbiamo fare concretamente?

Purtroppo, quando si parla di gestione delle emozioni non si intende solo l’espressione esteriore: tono di voce, postura, azioni. E quindi tutte quelle modalità come urlare, lanciare/rompere oggetti, aggredire fisicamente oggetti e persone.
Ma si intende anche l’intensità dell’emozione stessa che magari non viene esteriorizzata.
Questo perché i bambini riescono a percepirla comunque.

Quindi?
La nota positiva è che solitamente lavorando sulle modalità di espressione esteriori si arriva a modificare anche l’intensità dell’emozione stessa.

La modifica dei comportamenti diventa quindi abbastanza intuitiva: i comportamenti da evitare sono abbastanza evidenti e risultano chiari dopo una breve analisi.
La difficoltà sta nel fatto che nel momento in cui la forza dell’emozione super un certo livello è come se la parte razionale del nostro cervello si spegnesse.
Sostanzialmente il sistema limbico e il cervello rettiliano prendono totalmente il controllo e la corteccia smette di avere una parte della gestione delle nostre azioni.
Questo perché millenni di evoluzione hanno fatto sì che ci sviluppassimo per garantire la sopravvivenza della specie e ovviamente nei momenti di pericolo, attacco o fuga la capacità di agire istintivamente e senza mediazione del pensiero razionale (che ci rallenterebbe) è fondamentale.

La domanda diventa quindi: come possiamo fare per mantenere il controllo razionale ed evitare che la corteccia si spenga?

La tecnica che io ho trovato molto utile e che magari può fungere da spunto per capire il meccanismo e trovare ulteriori modalità è il verbalizzare.
Sostanzialmente ogni volta che mi rendo conto che mi sto irritando o sto andando in frustrazione (a prescindere dal motivo) comincio a sforzarmi di mettere a parole quello che sta succedendo e che sto provando.
Questo ha due effetti: il primo è che mi dà la sensazione di avere controllo su quello che sento (se gli do un nome, diventa più facile capirlo e saperlo gestire) e il secondo è che l’energia che sono costretta ad utilizzare per analizzare ed esprimere il tutto viene di fatto tolta all’emozione stessa.

Sono così concentrata a capire perché una determinata situazione mi causa quella reazione emotiva (es: il ricevere pizzicotti da un bambino mi ricorda quando all’asilo venivo messa in castigo perché litigavo con gli altri, nonostante fossero loro ad iniziare) e a trovare le parole per esprimerla, che smetto di essere arrabbiata.

Una volta che ci si abitua alla verbalizzazione si può passare a lavorare sui contenuti di quel che si dice, mirandoli un po’ di più all’aiutare il bambino con ciò che sta vivendo.

Riguardo a questo, negli anni, ho approfondito e applicato il metodo “dillo con la voce” della dott.ssa Simonelli (Psicologa, Clinica Psicoterapeuta e Psicopedagogista).
Sostanzialmente sono cinque passaggi consecutivi che servono ad accompagnare il bambino a capire ciò che sta vivendo e ad affrontarlo in maniera adeguata.

E’ un metodo che non viene naturale da subito (si devono, soprattutto all’inizio, memorizzare i passaggi) e che ha effetti sul medio/lungo periodo, perché il bambino deve avere il tempo di capire e interiorizzare ciò che gli viene detto.

I passaggi sono:

Primo passaggio fondamentale: sto dando un nome alla cosa che il bambino sente!
MA lo sto facendo in modo delicato con un “mi sembri”, evito quindi di dare un’imposizione e gli lascio lo spazio per replicare dicendomi che “no, io mi sento…”

Secondo passaggio: sto dando voce alla motivazione plausibile.
Di nuovo utilizzando la formula del “forse” lascio comunque spazio al bambino per spiegarmi che ho sbagliato interpretazione o per correggere la formulazione della frase se sente che le parole che ho usato non lo rispecchiano completamente.

Terzo passaggio: fondamentale!
Validazione dell’emozione! Può capitare all’inizio di non ricordarsi tutti i punti o saltarne alcuni, sforziamoci tantissimo di ricordarci questo!
Non importa quanto futile sembri la motivazione scatenante, non importa quanto sproporzionata ci sembri la reazione: HAI RAGIONE AD ESSERE… SE…!
Lasciamo fuori il giudizio, anche perché è incentrato su quelle che sono delle percezioni e delle standardizzazioni sociali con cui siamo cresciuti.
Ricordiamoci sempre che non è una nostra prerogativa decidere se un’emozione o la sua intensità può essere accettabile o no! E’ sempre e solo una prerogativa di chi la sta vivendo! (bambino o adulto che sia)

Il bambino, se accogliamo e accettiamo l’emozione che sta vivendo, autonomamente col tempo, imparerà a modulare la reazione in modo adeguato alle circostanze.

Quarto passaggio: spiegazione razionale. Qui subentra la motivazione logica, è una parte necessaria alla rielaborazione successiva del bambino, ma non aspettiamoci che recepisca immediatamente il senso di quello che gli stiamo spiegando.

Sto sostanzialmente rimarcando l’utilizzo del metodo come soluzione adeguata all’espressione e alla gestione dell’emozione che il bambino sta vivendo!
Il quinto e ultimo passaggio è da utilizzare quando il bambino ha riacquisito la calma ed è quindi in grado di recepire un’ulteriore analisi razionale.

Un paio di precisazioni e postille a margine.
Mi sono resa conto che spesso, soprattutto quando i bambini non sono abituati al metodo “dillo con la voce”, è funzionale ripetere il terzo e quarto passaggio in loop dopo una prima fase di esplicazione totale dei primi quattro.
Quindi la costante ripetizione del “HAI RAGIONE ad essere… se…“ con occasionalmente il “purtroppo però…”  in un tono di voce tranquillo, sereno e pacato (che è fondamentale sempre, a prescindere) li aiuta moltissimo su due livelli contemporaneamente. Da un lato inizialmente il tono di voce e la presenza serena dell’adulto gli danno il feedback fisico del “va tutto bene”, dall’altro lato viene supportato anche dalle parole e dalla frase accogliente che rimarca il messaggio del “va bene che tu sia… (arrabbiato, triste, etc), io lo accetto e sono qui…”

Un’ulteriore nota a margine è che il metodo può essere utilizzato fin da subito! Non importa che il bambino sappia parlare, perché saremo noi a prestargli la nostra voce e a dare comunque un nome a quello che sta sentendo.
In questo modo sostanzialmente il bambino, nel momento in cui acquisirà il linguaggio, avrà già una padronanza della comprensione ed espressione dell’emozione decisamente maggiore!